Mentre una massa da 17.000 miliardi di dollari di obbligazioni nel mondo offre rendimenti sottozero, pari a un terzo del totale emesso, si moltiplicano i governi che puntano ad approfittarne puntando su titoli di durata ultra-lunga. Dopo gli USA, anche la Svezia ipotizza l’emissione di un bond a 100 anni, una via battuta già in Europa da Belgio, Irlanda e Austria. Di recente, ha fatto scalpore il titolo secolare austriaco, sbarcato sui mercati per la prima volta nel settembre 2017 al rendimento di circa il 2,10% e che oggi offre un terzo di allora.
Il bond dell’Austria ha reso il 20% in 5 settimane, offre lo 0,7% per 100 anni
Da anni, il governo chiude i bilanci in leggero attivo, superando l’obiettivo prefissato di un surplus allo 0,35%. Altro che pareggio di bilancio, qui siamo di fronte a una politica formalmente più restrittiva di quella messa in campo da Berlino. Naturale che il crollo dei rendimenti stia premiando le obbligazioni di stato svedesi, la cui curva delle scadenze è arrivata anch’essa a scendere tutta in area negativa, anche se al momento il bond più longevo ha durata di soli 20 anni, in scadenza nel marzo del 2039, e rende appena sopra lo zero.
Se la Svezia emetterà un titolo del debito a 100 anni lo scopriremo il 23 ottobre, quando verranno comunicate le previsioni ufficiali sulle emissioni future. Sarà una decisione da assumere non così a cuor leggero come si pensi. Metà dei bond governativi risulta oggi in mano alla Riksbank, la banca centrale, a seguito degli acquisti realizzati sin dal 2015 per iniettare liquidità sui mercati e sostenere l’inflazione. Già oggi, quindi, il mercato del debito sovrano in Svezia si mostra scarsamente liquido e questo è un problema per chi investe, perché gli scambi rarefatti si traducono in differenziali tra lettera e denaro relativamente ampi, ovvero nell’impossibilità di rivendere ai prezzi desiderati.
Bond a 100 anni in forse
Emettere bond ultra-lunghi non farebbe che aggravare il problema, eliminando la necessità per lo stato di rifinanziarsi nel medio-breve termine e riducendo così l’offerta di titoli sul mercato secondario. Chiaramente, per un investitore dell’Eurozona esiste anche il rischio di cambio, trattandosi di titoli da acquistare in corone svedesi. Queste hanno perso contro l’euro l’1,5% nell’ultimo anno, deprimendo parzialmente i guadagni realizzati con il boom dei prezzi. A tale proposito, considerate che il bond con scadenza maggio 2025 ha segnato un +2,5% di prezzo, mentre il ventennale ha registrato ben +15%. E dalla sua prima emissione nel marzo di quest’anno, il decennale ha sfoggiato un ottimo +7,7%.
Del resto, i titoli di cui sopra hanno visto scendere i rendimenti nel frattempo rispettivamente di 60, 100 e 95 punti base. Dunque, l’effetto cambio non avrà giocato a favore, ma non si è mostrato in grado di scalfire i rialzi delle quotazioni. Per il futuro, molto dipenderà dalla divergenza monetaria o meno tra Riksbank e BCE. La prima ha confermato i piani per l’aumento dei tassi, oggi negativi, entro la fine dell’anno. Questo, nonostante l’inflazione sia scesa ai minimi da 3 anni, allontanandosi dal target del 2%, e il pil abbia subito un calo nel secondo trimestre. Se la stretta monetaria a Stoccolma sarà varata a breve, due effetti si contrapporranno sul mercato obbligazionario domestico: da un lato i rendimenti torneranno a crescere e i prezzi a ripiegare, dall’altro il cambio si rafforzerebbe dopo avere perso circa il 13% contro l’euro nell’ultimo lustro.
A seconda della prevalenza dell’uno o dell’altro fenomeno, l’esito sarebbe negativo o positivo per gli investitori dell’Eurozona.
Il paradiso perduto della Svezia, condannata ai tassi negativi e una corona debole