Crisi petrolio porterà ad altre svalutazioni?
Nel novembre del 2013 era stata la Banca di Russia ad avere anticipato una tendenza, che successivamente sarebbe stata seguita da altri paesi, ossia di lasciare oscillare liberamente il cambio. Grazie a questa strategia, Mosca ha grosso modo evitato un innalzamento del deficit, perché il crollo del 70% del rublo negli ultimi 18 mesi le ha consentito di aumentare i ricavi della vendita di Brent in valuta locale. Nei mesi scorsi aveva abbandonato il cambio fisso anche il Kazakistan, mentre la Nigeria ha svalutato all’inizio dell’anno il naira, ma continua ad agganciarlo a un cambio intorno a 200 contro il dollaro, considerato sopravvalutato di circa il 15-20% rispetto ai fondamentali dell’economia nazionale.
Giovedì scorso è toccato all’Argentina abbandonare il “peg” e svalutare il peso, ma in quel caso la crisi delle materie prime non c’entrava, dato che la misura è stata frutto della volontà del nuovo governo di correggere le profonde distorsione accumulate dall’economia nell’era Kirchner. Di certo, però, il 2015 è stato l’anno della crisi dei cambi fissi o dei cambi controllati. Il 15 gennaio scorso, ad esempio, la banca centrale svizzera (SNB) annunciava l’abbandono della difesa del cambio minimo di 1,20 contro l’euro, mentre la Danimarca ha dovuto varare misure straordinarie per difendere il suo “peg” ultra-trentennale con il marco tedesco prima e la moneta unica dopo.