Svalutazione rial a breve?
La questione sta diventando centrale proprio per le economie esportatrici di greggio, che stanno subendo un pesante deterioramento delle partite correnti. Una di queste è l’Arabia Saudita, che mantiene dal 1985 un aggancio con il dollaro del rial a un cambio di 3,75. La banca centrale di Riad ha segnalato la volontà di non porre fine al peg, ma ciò implica la necessità per il regno o di tagliare la spesa pubblica per contenere l’esplosione del deficit (atteso al 20% quest’anno e al 16% nel 2016) o di abbassare la produzione di petrolio, nella speranza che ciò porti a un più veloce riequilibrio del mercato e a una conseguente risalita delle quotazioni.
In teoria, i sauditi avrebbero fino a 5 anni di tempo per valutare il da farsi, perché tanto dovrebbero durare le
riserve da 640 miliardi di dollari, secondo l’FMI, prima di essere state del tutto intaccate. Vero è anche che se si verificasse una discreta risalita delle quotazioni e se il governo tagliasse un po’ la spesa pubblica e continuasse ad emettere debito per coprire parte del “buco” fiscale, le riserve risulterebbero sufficienti ancora per più tempo. Ma il problema di affrontare con decisione la crisi dei conti pubblici si pone a Riad e l’abbandono del cambio fisso resta tra le opzioni sulla carta, ché ne dica il governatore Fahad al-Mubarak. D’altronde, anche l’elvetico Thomas Jordan aveva assicurato che il cambio minimo sarebbe stato difeso, pochi giorni prima di annunciare la fine del “peg”.