Le pensioni rappresentano uno dei temi più complessi su cui il governo si sta confrontando in relazione alla legge di Bilancio. I margini di manovra sono limitati, la strada è in salita, e il governo si trova in una vera e propria stretta. Da un lato ci sono le richieste dei lavoratori, che desiderano condizioni migliori per accedere alla pensione e un sistema di calcolo più favorevole. Dall’altro lato, ci sono l’Unione Europea, che impone vincoli stringenti, la necessità di mantenere la sostenibilità del sistema pensionistico. E altre urgenze che erodono le risorse destinate alla manovra. Tuttavia, qualcosa di positivo potrebbe comunque emergere, come un ulteriore aumento straordinario per le pensioni basse. Ovvero quelle che comunemente vengono chiamate “pensioni minime”, ma che in realtà dovrebbero essere definite “pensioni integrate al minimo”.
Ancora un aumento extra per alcuni pensionati: il governo guarda alle pensioni minime
È probabilmente più semplice procedere con un nuovo aumento straordinario delle pensioni minime piuttosto che introdurre misure di pensionamento anticipato più favorevoli rispetto ai requisiti attuali della legge Fornero. Infatti, una delle misure che con buona probabilità il governo confermerà nella prossima manovra di fine anno sarà proprio l’aumento extra delle pensioni minime.
Un intervento che, nato come misura transitoria due anni fa e riproposto l’anno scorso, potrebbe essere applicato per la terza volta. Questa è sicuramente una buona notizia per coloro che percepiscono trattamenti pensionistici piuttosto bassi.
La legge di Bilancio del 2023 ha previsto un aumento extra per le pensioni minime, oltre alla consueta rivalutazione annuale, che ha portato gli assegni da 598,61 euro a 614,77 euro, con un incremento percentuale del 2,7%. Da quanto si apprende, poiché la rivalutazione per quest’anno dovrebbe portare un incremento dell’1,5% o dell’1,6%, si ipotizza un ulteriore aumento straordinario dell’1%, che porterebbe gli assegni a circa 621 euro al mese.
Pensioni e nuovi requisiti: cosa potrebbe cambiare?
Novità potrebbero emergere anche sul fronte della perequazione. L’aumento delle pensioni legato al tasso di inflazione, infatti, potrebbe subire modifiche. Approfittando del recente rallentamento del costo della vita, il governo potrebbe decidere di rivedere il meccanismo di rivalutazione delle pensioni introdotto lo scorso anno. Questo taglio della perequazione, che riguarda i pensionati con trattamenti superiori a quattro volte il minimo, è stato oggetto di ricorsi e attualmente è al vaglio della Corte Costituzionale per presunta incostituzionalità.
Pertanto, si sta valutando l’ipotesi di applicare la perequazione piena a tutti i pensionati, senza distinzioni di fasce e senza riduzioni. Al momento, questa ipotesi non può essere esclusa.
Per quanto riguarda i requisiti pensionistici, sembra probabile la conferma dell’Ape sociale, della quota 103 e di Opzione Donna per un altro anno.
Ciò significherebbe che chi decide di continuare a lavorare oltre i 42 anni e 10 mesi di contributi potrebbe beneficiare di un aumento sullo stipendio e di una contribuzione figurativa per la futura pensione.