C’è chi parla di “peggioramento” della legge Fornero, chi di presa d’atto della realtà, chi ancora di tradimento delle promesse elettorali. Una cosa è emersa con nitidezza dalla legge di Bilancio per il 2024: andare in pensione prima dell’età ufficiale costerà di più. L’argomento è spinosissimo, perché riguarda le vite di milioni di cittadini, molti dei quali ritengono di avere maturato diritti retroattivamente intaccati dai numerosi interventi in materia di previdenza negli ultimi anni. Ragioni e torti non esistono del tutto quando si parla di pensioni, perché il vero scontro è tra sostenibilità dei conti Inps ed equità sociale.
Pensione contributiva, platea ridotta
Vediamo in pillole come cambiano da quest’anno le regole per andare in pensione prima dei 67 anni, l’età ufficiale di riferimento per uomini e donne. Partiamo dall’assegno a 64 anni con 20 di contributi. E’ possibile ottenerlo per i lavoratori ricadenti nel sistema contributivo puro, cioè che abbiano iniziato a versare il primo contributo dopo il 31 dicembre del 1995. Fino a tutto il 2023 esisteva un limite: il richiedente avrebbe dovuto maturare un assegno almeno pari a 2,8 volte il trattamento minimo.
Le nuove norme hanno inasprito a 3 volte l’importo dell’assegno minimo che il richiedente dovrà percepire per andare in pensione prima di 67 anni. Resta a 2,8 volte per le donne con un figlio e scende a 2,6 volte per le donne con due o più figli. Non è finita: l’importo massimo non potrà eccedere le 5 volte il trattamento minimo. Dunque, esso dovrà essere compreso nel 2024 tra 1.590 euro (meno per le donne con figli) e 2.840 euro al mese.
Andare in pensione prima con Opzione Donna meno accessibile
Confermati Opzione Donna e Ape Social, altre due scappatoie previste da anni dal legislatore per consentire ai lavoratori di andare in pensione prima. Con Opzione Donna le lavoratrici dovranno maturare 61 anni di età dai 60 anni del 2023 e possedere sempre 35 anni di contributi.
Esiste un’altra restrizione: potranno richiedere Opzione Donna solo coloro che sono state licenziate da aziende in crisi o con disabilità almeno pari al 74% o che accudiscono da almeno sei mesi disabili conviventi.
Con Ape Social nessuna rivalutazione all’inflazione fino a 67 anni
Con Ape Social serviranno 5 mesi in più di età per andare in pensione prima, cioè 63 anni e 5 mesi. Bisognerà possedere anche 30 anni di contributi. Anche in questo caso, la scappatoia è accessibile da chi ha una disabilità pari almeno al 74% o risulti licenziato da un’azienda in crisi o che accudisca un disabile convivente da almeno sei mesi. Per chi svolge lavori gravosi si richiedono 36 anni di contributi, di cui 6 negli ultimi 7 o 7 negli ultimi 10 relativi alle professioni inserite nell’elenco del Ministero del Lavoro.
I beneficiari dell’Ape Social, però, non possono cumulare redditi da lavoro con l’assegno, se non nei limiti dei 5.000 euro lordi all’anno in relazione a prestazioni occasionali. L’assegno massimo non può eccedere i 1.500 euro lordi al mese e fino al raggiungimento dei 67 anni di età non saranno possibili adeguamenti all’inflazione. Un bel problema nel caso in cui si registrassero ulteriori aumenti del costo della vita da qui a qualche anno.
Taglio pensione per medici e infermieri
Vi ricordate le proteste di medici e infermieri contro il taglio delle pensioni? Esso è stato revocato, ma limitatamente alle pensioni di vecchiaia. Chi vorrà andare in pensione prima, subirà una decurtazione dell’assegno. Per medici e infermieri sarà meno dura rispetto a insegnanti di asilo nido e ufficiali giudiziari.
Andare in pensione prima più costoso
In definitiva, la premier Giorgia Meloni applica nei fatti quanto il suo predecessore Mario Draghi affermava un paio di anni fa da Palazzo Chigi: “sì alla flessibilità, ma senza oneri per lo stato”. E ciò si traduce in un calcolo dell’assegno contributivo e nell’imporre limitazioni e disincentivi al pensionamento anticipato. Piaccia o meno, questo sarà il criterio-guida per il futuro, chiunque sarà al governo nei prossimi anni. La spesa per le pensioni assorbe tra il 16% e il 17% del PIL ogni anno, in cima alle classifiche mondiali. Pensare di dilatare questa voce del bilancio statale è assurdo, oltre che insostenibile per via delle basse nascite e della scarsa occupazione.