Andare in pensione a 67 anni di età diventerà una prerogativa per pochi. Probabile che il traguardo anagrafico si sposterà gradualmente in avanti verso i 71 anni. Oggi sembra strano dirlo, ma nel prossimo decennio diventerà con ogni probabilità la regola, sia per effetto dell’allungamento della speranza di vita, sia per via delle restrizioni alle pensioni che entreranno a regime.
A dirlo apertamente è L’OCSE. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nel suo report “Pension at a Glance“, traccia un quadro a dir poco allarmante del sistema pensionistico italiano.
In pensione a 71 anni per le nuove generazioni
L’entrata a regime del sistema contributivo per il calcolo delle pensioni riguarda, infatti, sempre più lavoratori. Ne sono coinvolti soprattutto i nati dagli anni 80 in su. Per costoro le regole per andare in pensione di vecchiaia sono leggermente diverse rispetto a chi ricade nel sistema di calcolo misto, cioè per coloro che possono vantare contributi prima del 1996, meno restrittivo.
La pensione di vecchiaia, come noto, scatta oggi al compimento dei 67 anni di età con almeno 20 di contributi. Il requisito anagrafico non è però statico, bensì variabile in base alle aspettative di vita. Negli ultimi 4 anni è rimasto invariato per via del covid. Ma, se tutto va bene, l’età pensionabile tornerà a salire di 2 mesi dal 2026 in poi. Il che comporterà tempi di attesa più lunghi per ottenere la rendita pubblica.
Non solo. Per chi ricade nel sistema contributivo puro, è necessario che la pensione sia almeno pari all’importo dell’assegno sociale. Altrimenti bisognerà attendere di centrare anche questo requisito prima di fare domanda di rendita all’Inps.
A incidere su questi aspetti sarà in particolare il lavoro precario, sottopagato e frammentato di cui le nuove generazioni sono ormai consce. Inutile dire che il conto si pagherà alla fine e si andrà così in pensione a 71 anni di età.
Pensioni anticipate e spesa assistenziale
Il rapporto OCSE sulle pensioni in Italia evidenzia inoltre come il sistema pensionistico italiano sia stato appesantito (a livello di spesa) dalle deroghe alla riforma Fornero del 2011. Le pensioni anticipate con il sistema delle “quote” ha comportato un aggravio per le casse pubbliche non indifferente. Ciò ha reso l’Italia uno dei paesi dell’OCSE con la seconda maggiore spesa pubblica sulle pensioni, equivalente al 16,3% del Pil nel 2021.
I tagli a queste pensioni da parte del governo Meloni implicano, non solo una allungamento della finestra temporale di uscita, ma anche un aggravio per la spesa sanitaria. In pratica, allontanare il traguardo della pensione per i lavoratori implica, a una certa età, maggiore spesa per l’assistenza sanitaria e assistenziale. Cioè, se una persona non sarà più in grado di mantenersi col lavoro, ma non avrà nemmeno diritto alla pensione, dovrà essere assistita dallo Stato in altri modi.
Sicché L’Organizzazione mostra forte preoccupazione nei confronti dei sistemi di pensionamento anticipato introdotti in Italia negli ultimi anni. Nel report si prende di mira anche l’Ape sociale e il concetto di lavoratori gravosi, sollevando dubbi, non solo sull’ampiezza delle categorie coinvolte, ma anche sulla gestione di fenomeni correlati al sistema sanitario piuttosto che a quello pensionistico.
Questi aspetti, insieme ad altri fattori già analizzati dall’OCSE, sono ritenuti penalizzanti per le future generazioni. Nel loro complesso spingono la prospettiva di pensionamento per chi entra ora nel mercato del lavoro all’età eccezionalmente elevata di 71 anni.
Riassumendo…
- Per le nuove generazioni l’età della pensione tende a 71 anni di età.
- Secondo l’OCSE, in Italia pesano molto le pensioni anticipate e le deroghe alla riforma Fornero.
- Diminuirà la spesa pensionistica, ma aumenterà quella sanitarie e per l’assistenza.