Era il 24 febbraio del 2022 quando i carri armati russi entravano nel territorio dell’Ucraina. Iniziava così la guerra di occupazione voluta dal presidente Vladimir Putin per annettere lo stato ex sovietico. Avrebbe dovuto essere una guerra-lampo, una Blitzkrieg per citare un termine già infaustamente noto nella storia europea. Si è rivelata un pantano, ciò che fu il Vietnam per gli americani o, se vogliamo andare ai fatti più recenti, l’Afghanistan per russi prima e americani poi. Con l’occupazione Mosca puntava a riportare l’Ucraina nella sua orbita geopolitica, annettendola anche fisicamente.
Guerra boomerang per Putin
E c’è un altro grande fallimento nella strategia di Putin. Con lo scoppio della guerra, i prezzi di petrolio e gas esplosero alle stelle. Nelle settimane successive, il Brent schizzò fin sopra 120 dollari al barile. Il gas arrivò nell’agosto scorso a 340 euro per Mega-wattora contro i 15-30 dollari della media storica. Pur a fronte degli insuccessi militari, nitidi sin dalle prime ore successive all’occupazione, il governo russo pensò per diversi mesi di avere il coltello dalla parte del manico. Era consapevole della dipendenza energetica dell’Europa e quando i suoi governi reagirono dichiarando che avrebbero ridotto, se non azzerato, le importazioni di energia dalla Russia, a Mosca parve un bluff.
Invece, pur a fronte di grossi sacrifici per famiglie, imprese e conti pubblici, l’Europa si sta realmente rendendo quasi indipendente dalle materie prime russe. E lo stanno confermando i prezzi. Il greggio viaggia a poco più di 80 dollari, mentre il gas è sceso sotto 50 euro.
Dure sanzioni contro Mosca
Così come la Russia non aveva preso sul serio le parole del presidente americano Joe Biden, quando alla vigilia della guerra affermò che l’Occidente avrebbe comminato “sanzioni dure come mai viste prime” nel caso di occupazione dell’Ucraina. Detto, fatto. Qualche giorno dopo l’inizio della guerra, Nord America ed Europa “congelavano” circa 300 miliardi di dollari delle riserve valutarie russe, quasi la metà del totale. Un colpo durissimo per Mosca, che si è trovata priva di asset da poter usare per finanziare l’impresa bellica. Inoltre, il paese è stato di fatto tagliato fuori dai mercati finanziari e posto sotto embargo anche sul piano commerciale.
Decine di multinazionali hanno lasciato il paese per segnalare la presa di distanza dalla guerra. E’ vero d’altra parte che l’economia russa non sia precipitata come molti analisti in Occidente profetizzavano. In parte, la resilienza è stata possibile agli abbondanti introiti dalla vendita di gas e petrolio. E molte sanzioni sono state dribblate con triangolazioni commerciali, che fanno sì che sugli scaffali russi non manchino i prodotti occidentali, importati da altri stati. La penuria fu semmai evidente nelle prime settimane, il tempo di studiare come aggirare gli ostacoli.
Russia dice addio al benessere europeo
Se, poi, l’intento secondario di Putin fosse di seminare zizzania in Europa, l’operazione si è rivelata del tutto fallimentare. Dinnanzi al nemico comune, i governi europei hanno superato posizioni discordanti di politica estera e rispolverato la NATO, strumento considerato quasi desueto fino a un anno fa.
Ed è anche vero che la guerra ha allontanato, chissà per quanti decenni, la Russia da una traiettoria di sviluppo occidentale. Putin è stato costretto a ripiegare sulla Cina per non trovarsi del tutto isolato. Non era il destino che aveva immaginato per il suo popolo. Le relazioni Pechino-Mosca non saranno bilanciate, date le sproporzioni economiche in campo a favore dei cinesi. Soprattutto, i russi sognavano standard di vita europei e americani. Ascoltano musica italiana, indossano vestiti italiani e francesi, guidano auto italiane e tedesche, vengono in vacanza in Sardegna, a Nizza, a Ibiza. E’ un mondo che sfuma sotto gli occhi di oltre 140 milioni di persone, che dopo la caduta dell’Unione Sovietica pensavano che sarebbero finalmente diventati “europei” in tutto, mentre la guerra di Putin li ha riportati indietro con le lancette di un secolo e destinati a un futuro con scarso benessere e ancora minore libertà.