Ape aziendale 2018: simulazione e alternative per la pensione a 63 anni

Ape aziendale dipendente 63 anni: conviene o ci sono alternative con costi inferiori per il lavoratore? Esistono margini di contrattazione con l'azienda?
7 anni fa
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Autotutela

Con il debutto dello strumento per la simulazione online dell’Ape volontario messo a disposizione dall’Inps (sebbene con alcuni errori segnalati dagli utenti) è aumentato anche il numero di datori di lavoro che vagliano la convenienza dell’Ape aziendale. Con questo termine si indica una forma di ape volontario più flessibile: in sintesi il datore si impegna a versare i contributi aggiuntivi che mancano al lavoratore (dipendente privato con almeno 63 anni) per l’uscita anticipata con prestito pensionistico. L’intesa rappresenta un accordo libero e non richiede intervento dei sindacati.

E’ bene però che il lavoratore vagli bene la proposta per capire se, nel caso specifico, l’ape aziendale sia la soluzione più conveniente (in alcuni casi è l’unica) o se ci sono soluzioni meno esose e che garantiscano un assegno pensione di importo maggiore.

Ape aziendale conviene? Quali alternative

Il raffronto tra le misure a disposizione riguarda essenzialmente altri due strumenti di pensione anticipata: incentivo all’esodo (Isopensione) e pensione anticipata con Naspi.
Il lavoratore prossimo alla pensione anticipata può optare per la risoluzione consensuale del rapporto con riconoscimento della Naspi per un massimo di 24 mesi e relativa copertura contributiva figurativa.
Per chi invece non riesce a raggiungere la pensione anticipata entro il periodo di copertura contributiva dell’indennità di disoccupazione si può valutare l’ipotesi di incentivo all’esodo.

Cosa sapere prima di accettare l’Ape aziendale: simulazione e calcolo costi e pensione

Che l’ape aziendale, qualora ricorrano i requisiti, sia conveniente per il datore rispetto all’isopensione non c’è dubbio dunque. Ma cosa deve valutare il dipendente prima di accettare l’accordo?
Il contributivo aggiuntivo a carico del datore non deve essere inferiore, per ciascun anno o sua frazione di anticipo rispetto alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, all’importo della retribuzione percepita dal lavoratore prima del pensionamento.

Il versamento va fatto in un’unica soluzione e alla scadenza prevista per il pagamento dei contributi del mese di erogazione della prima mensilità dell’APE (se ad esempio questa viene erogata a marzo 2018, l’adempimento dovrà essere concluso entro il 16 aprile).

Questa operazione in pratica va a determinare un incremento sull’assegno della pensione che compensa la rata del prestito.

Ecco le maggiori differenze tra ape aziendale e isopensione in termini di requisiti:
– Anni: l’isopensione è stato esteso fino a 7 anni dal perfezionamento dei requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata; l’ape aziendale è riservata ai lavoratori con almeno 63 anni e che si trovino a non più di 3 anni e 7 mesi dalla pensione di vecchiaia (e non da quella anticipata) ed ha quindi un perimetro di applicazione ristretto;
– L’isopensione richiede accordo sindacale e si rivolge solo ad aziende con più di 15 dipendenti e problemi di esubero del personale. L’iter per l’ape aziendale quindi è più snello e veloce.

Queste quindi le differenze in merito a requisiti e campo di applicazione. Ma i costi per il lavoratore?
Nell’isopensione il datore, oltre alla copertura figurativa degli oneri contributivi, deve corrispondere anche l’assegno di esodo ossia la somma economica che “accompagna” il lavoratore alla pensione e che è pari alla pensione maturata al momento della domanda (somma che invece nell’ape aziendale sostiene la banca ma solo entro il 75% per anticipi pari o superiori a 36 mesi). Se l’azienda ha più di 15 dipendenti e i requisiti per l’isopensione sono rispettati, il lavoratore quindi dovrà valutare con il sindacato la possibilità di incentivo all’esodo anche perché quest’ultimo prevede anche la tredicesima, che invece non è inclusa nell’uscita con ape aziendale.

E’ intuitivo invece che il datore preferirà la seconda via. Facciamo un raffronto pratico dei costi: mettiamo che il lavoratore percepisca uno stipendio lordo di 40 mila euro annui; con un anticipo di tre anni rispetto alla data prevista per l’uscita dovrà, quindi, versare all’Inps un contributo minimo di 39.600€ (40 mila euro x 3 x 0,33), che verrà accreditato sul conto assicurativo del lavoratore comportando un incremento del montante contributivo corrispondente alla quota C della pensione (che serve a contenere in misura parziale la rata del prestito).


C’è margine di contrattazione? Sulla carta certamente l’accordo tra dipendente e datore di lavoro può inoltre essere migliorativo rispetto al minimo previsto dalla legge. A conti fatti spesso per compensare del tutto la rata di restituzione del prestito il datore dovrebbe versare una cifra simile a quella per l’isopensione se non perfino superiore. E in ogni caso il lavoratore riceverebbe per i tre anni di anticipo una cifra inferiore all’isopensione.

Alessandra De Angelis

In InvestireOggi.it sin dal 2010, svolge il ruolo di Caporedattrice e titolista, e si occupa della programmazione e selezione degli argomenti per lo staff di redazione.
Classe 1982, dopo una laurea in giurisprudenza lavora all’estero per poi tornare in Italia. Cultrice dell'arte della scrittura nelle sue diverse declinazioni, per alcuni anni si è anche occupata di Content Seo per alcune aziende del milanese.

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