Fra le varie ipotesi che emergono dal dibattito in corso sulla riforma pensioni 2023 ce n’è una che potrebbe mettere tutti d’accordo. Si tratta di Ape Sociale, già conosciuta dai lavoratori.
L’anticipo pensionistico, come noto, è rivolto a quei lavoratori che per una ragione o per l’altra si trovano in condizioni di disagio sociale. L’età di uscita è fissata a 63 anni per uomini e donne, ma con almeno 30 anni di contributi.
Ape Sociale per tutti, la soluzione?
Abbiamo visto che il governo lo scorso anno ha proposto l’allargamento della platea dei beneficiari di Ape Sociale a più categorie di lavoratori.
Anche gli edili e i ceramisti, già ricompresi fra i lavori usuranti, hanno ottenuto un abbassamento del requisito contributivo da 36 a 32 anni. Ricordiamo che per i lavoratori addetti a mansioni usuranti è necessario avere almeno 36 anni di contributi alle spalle per poter accedere ad Ape Sociale.
Il governo parrebbe quindi orientato a estendere ulteriormente Ape Sociale abbracciando più classi di lavoratori. Del resto la nuova lista dei lavori gravosi aggiornata nel 2021 dalla Commissione Damiani comprende ben 92 mansioni per ordine di importanza. E a oggi solo un terzo di queste può rientrare in Ape Sociale.
Più flessibilità per evitare la Fornero
Non è quindi da escludere che nella prossima riunione del 7 febbraio fra governo e sindacati si possa prende in esame anche questa possibilità. Anche per evitare che le alternative, che prevedono tagli profondi alle pensioni anticipate, creino scontento generale.
Ape Sociale potrebbe quindi essere concessa a tutti, ma con delle differenze e con maggiore flessibilità. In pratica, agendo sul requisito contributivo, si potrebbe permettere una uscita scaglionata dal lavoro in base alle mansioni svolte.
Pertanto, posto che a un lavoratore edile bastino 32 anni di lavoro per andare in pensione a 63 anni, a un camionista ne potrebbero servire 36 e a un docente di scuola media 38.
Da non dimenticare poi che lo scivolo avrebbe dei limiti economici: Ape Sociale prevede infatti il pagamento di una indennità massima di 1.500 euro lordi al mese senza tredicesima.