Il Consiglio dei ministri ha fatto le ore piccole e alla fine ha approvato il Documento di economia e finanza (DEF), il primo del governo Meloni. Le cifre macroeconomiche per quest’anno sono state riviste complessivamente in meglio. La crescita attesa del PIL sale dallo 0,6% all’1% (+0,9% tendenziale), mentre il deficit pubblico scende dal 4,5% fissato con la Nota di Aggiornamento al DEF di novembre al 4,35% tendenziale. Da questa differenza dello 0,15% si ricavano 3 miliardi di euro da destinare all’ulteriore taglio del cuneo fiscale.
A novembre, il governo Meloni appena insediato aveva alzato dal 3,5% al 4,5% il deficit programmato per quest’anno. L’aumento si era reso necessario per trovare una ventina di miliardi di euro contro il caro bollette. Adesso, grazie ad una crescita dell’economia italiana migliore delle previsioni, da accreditare principalmente al crollo del prezzo del gas, il deficit è atteso scendere nel 2023 al 4,35%. E questo è il dato tendenziale. Ma il governo Meloni ha deciso di perseguire ugualmente il 4,5% precedentemente fissato, in modo da impiegare la differenza dello 0,15% per sostenere i redditi medio-bassi.
Cos’è il cuneo fiscale? La differenza tra quanto paga l’imprenditore al dipendente e quanto questi percepisce realmente in busta paga. Essa è data dalla somma tra i contributi previdenziali versati all’INPS e l’IRPEF allo stato. Il governo Draghi aveva già tagliato di due punti percentuali i contributi versati dai lavoratori con redditi lordi fino a 35.000 euro all’anno. Con la legge di Bilancio per il 2023, il governo Meloni aveva aumentato di un altro punto percentuale il taglio sui redditi fino a 20.000 euro. In totale, il costo era stato di 4,8 miliardi.
Taglio cuneo fiscale e prudenza su deficit
I tre miliardi aggiuntivi stanziati nelle scorse ore accresce la dotazione per la riduzione del cuneo fiscale, anche se i dettagli dovranno ancora essere resi noti.
L’obiettivo della maggioranza consiste nel tagliare il cuneo fiscale di almeno cinque punti percentuali a tutti i lavoratori entro la legislatura. L’unica certezza è che non ci saranno riflessi negativi sulle pensioni. Lo stato coprirà i mancati versamenti dei lavoratori, per cui i futuri assegni saranno salvaguardati. Per il resto, il DEF è stato varato all’insegna della prudenza sui conti pubblici. Il deficit dovrà scendere al 3% entro il 2025, mentre il rapporto tra debito pubblico e PIL passerà dal 144,4% del 2022 al 142,1% di quest’anno per tendere al 140,4% nel 2026. Sempre per ragioni prudenziali, la crescita programmatica è stata rivista al ribasso dall’1,9% all’1,5% per l’anno prossimo.
In conclusione, il DEF mira a offrire sostegno all’economia italiana entro gli stretti spazi fiscali ricavati dall’andamento del PIL e dei conti pubblici. Il governo ha voluto lanciare altresì un messaggio rassicurante sia all’Unione Europea che ai mercati finanziari. Con la prima c’è un dibattito in corso sulla riattivazione del Patto di stabilità, che dall’anno prossimo potrebbe già adottare le nuove norme oggetto di confronto tra gli stati e per le quali l’Italia reclama flessibilità. La Germania vorrebbe che i paesi più indebitati riuscissero a tagliare il rapporto debito/PIL di almeno l’1% all’anno contro lo 0,5% previsto dalla Commissione. Un obiettivo non così facilmente alla portata con livelli di deficit ancora così alti.