E’ in corso una rivoluzione silenziosa in Arabia Saudita, anche se i progressi vengono compiuti a ritmi piuttosto lenti. Eppure, da quando nell’aprile dello scorso anno, il Principe Mohammed bin Salman, figlio del sovrano e numero due del regno, ha svelato al mondo il suo Saudi Vision 2030, teso a sganciare l’economia nazionale dalla dipendenza verso il petrolio, di novità ne sono state introdotte e altre rilevanti sarebbero in arrivo. Il giovane membro della famiglia reale di Riad punta a porre le basi sin da adesso a un sistema economico sano per quando il petrolio non ci sarà più o diverrà una materia prima irrilevante nel mondo.
Il piano del Principe Mohammed punta a centrare l’obiettivo di un tasso di occupazione femminile del 30% entro il 2030. Potrebbe apparire poco ambizioso, ma non lo è affatto in un regno dalla cultura wahabita, un’interpretazione ultra-conservatrice dell’islam. Anche perché, persino gli uomini trovano poco conveniente lavorare, godendo di benefici assistenziali molto generosi, frutto dei proventi del petrolio.
Il Saudi Vision 2030 vorrebbe elevare a 8 milioni il numero degli occupati, che oggigiorno non arriva nemmeno a 6 milioni. Cosa ancora più importante, mira a spostare occupati dal settore pubblico a quello privato. Si consideri, che oggi lavorano alle dipendenze dello stato saudita 4,2 milioni di persone contro gli 1,6 milioni di cittadini nazionali occupati nel settore privato. L’obiettivo sarebbe di dimagrire i primi a 3,4 milioni e di aumentare i secondi a 4,1 milioni.
Più diritti alle donne saudite
Affinché tali numeri possano non rimanere lettera morta, serve che anche le donne lavorino. Certo, in un paese dove ci si sposa presto e il gentil sesso è invitato semplicemente ad occuparsi della famiglia, questo piano appare una sfida contro i costumi del regno, ma che il Principe Mohammed sia intenzionato ad andare avanti lo dimostra anche un suo ordine emanato quest’estate a tutti i dipendenti pubblici, con il quale si chiede loro di accettare di erogare servizi a utenti donne, anche se non accompagnate da un uomo, qualora il compito da svolgere non fosse espressamente in contrasto con un divieto in vigore.
Dalla metà di luglio non è giunta alcuna risposta dai pubblici uffici, ma Riad ha lanciato un messaggio chiaro al suo stesso apparato: le donne possono dovere circolare liberamente, pur nei limiti stringenti ancora esistenti, al pari degli uomini. Certo, non potranno chiedere il rilascio di un passaporto senza la presenza di un familiare uomo, così come sicuramente continueranno a dovere chiedere il permesso al padre o altro familiare uomo per sposarsi, ma i primi passi sono stati compiuti verso lo sdoganamento di un minimo di parità nei diritti tra i due sessi.
Il problema, dicevamo, continua ad essere più culturale che formale. Da alcuni sondaggi realizzato sul piano del principe, si scopre che in tanti cittadini sauditi avrebbero remore a lavorare, specie per il settore privato, vedendo di cattivo occhio settori cruciali per la crescita economica, come il turismo, ma anche la sanità. La ragione: meglio lavorare nel pubblico, che paga bene, è più sicuro e segnala un impegno patriottico, di cui possono andare fiere le famiglie. (Leggi anche: Rivoluzione saudita: vivere senza petrolio dal 2020)