Brasile e Argentina verso la moneta unica. L’annuncio ufficiale dovrebbe arrivare con la visita in corso del presidente Luiz Inacio Lula da Silva a Buenos Aires, dov’è ricevuto dal collega Alberto Fernandez. Se ne parla da qualche anno, sebenne l’opposizione che era arrivata dalla banca centrale brasiliana avesse archiviato la discussione. Ma adesso che entrambi i paesi sono governati dalla sinistra, il progetto riprende forma. Il presidente brasiliano si trova nella capitale argentina per la sua prima visita ufficiale dopo la rielezione di ottobre.
Il nome della moneta unica tra Brasile e Argentina dovrebbe essere “sur”, che in spagnolo significa “sud”. Tuttavia, il progetto sarà rivolto a tutto il resto dell’America Latina. Esso punta ad allentare la dipendenza dal dollaro e a superare le barriere nazionali per creare un vero mercato unico, similmente a quanto accaduto negli ultimi decenni nell’Area Euro. Il ministro dell’Economia argentino, Sergio Massa, ha ammesso che “sarà una strada lunga” e ha invitato a non riporvi false speranze circa un immediato approdo alla moneta unica.
Sur per sganciarsi dal dollaro
Almeno per una prima fase, il sur affiancherebbe le monete nazionali. La discussione tra i due stati verterà sui criteri da rispettare per intraprendere questo percorso comune. Si va dalle politiche fiscali a quelle monetarie e commerciali. E qui esistono notevoli differenze tra i due stati. L’Argentina è uno stato perennemente assistito dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e che passa da un default all’altro. Ha un’inflazione prossima al 100% e un cambio al collasso. Tutt’altra situazione in Brasile, dove il debito pubblico è molto più solido, l’inflazione contenuta e il cambio sostanzialmente stabile.
E, infatti, bisogna capire quali saranno le motivazioni che porteranno il presidente Lula a siglare una simile intesa a dir poco storica.
Accetteranno di farne parte altri paesi? Si consideri che il Brasile torna a partecipare alle riunioni della CELAC dopo anni di assenza sotto Jair Bolsonaro. Questi non accettava la presenza di due stati dittatoriali come Cuba e Venezuela. E proprio questi due paesi potrebbero rispondere positivamente a un eventuale appello congiunto di Argentina-Brasile. Caracas ha un bolivar carta straccia da anni e continua a registrare tassi d’inflazione altissimi dopo la fase tragica dell’iperinflazione. L’Avana ha dovuto svalutare il cambio del 96% contro il dollaro all’inizio dello scorso anno, ma sembra che non sia bastato per far fronte ai suoi enormi problemi di competitività.
Lula a caccia di alleati anti-USA
L’adesione al sur comporterebbe, comunque, aggiustamenti macroeconomici non dissimili da quelli richiesti dall’FMI in cambio di aiuti. Semmai, essa aumenterebbe la credibilità delle politiche nazionali, insidiata da qualche anno dal ritorno al potere di numerosi capi di stato della sinistra anti-capitalista. Se tutta l’America Latina aderisse al sur, calcola il Financial Times, questa sarebbe la moneta unica di un’area economica pari al 5% del PIL mondiale. L’Area Euro attualmente vale il 14% del PIL mondiale. Ma risulta difficile credere che ci saranno così tante adesioni.
L’America Latina è tutt’altro che un blocco geopolitico omogeneo. Tra i vari stati esistono frizioni anche per ragioni storico-territoriali. D’altra parte, questa sembra una fase particolarmente favorevole al progetto per via di un’onda rossa che si è estesa a tutto il continente meridionale nel ciclo elettorale dell’ultimo biennio. Era stata anticipata dalle vittorie della sinistra in Argentina e Messico. Il punto è che il sostegno popolare al sur non sembrerebbe elevato. E i brasiliani, pilastro fondamentale della moneta unica, difficilmente rinuncerebbero al loro real per inseguire un obiettivo tanto aleatorio quanto rischioso.