Il 10 dicembre di un anno fa s’insediava ufficialmente alla presidenza dell’Argentina tale Javier Milei, autodefinitosi “anarco-capitalista”. Un outsider che aveva sconfitto il sistema politico tradizionale, mandando all’opposizione i peronisti. Le speranze in patria furono tante e lo scetticismo all’estero dominava. Non era il primo presidente a dichiarare buone intenzioni e l’immagine di lui con la motosega in campagna elettorale aveva suscitato più derisione che ammirazione. A distanza di 12 mesi esatti, è sostanzialmente unanime l’apprezzamento dentro e fuori i confini nazionali per i risultati conseguiti.
Conti pubblici in attivo dopo 123 anni
Su base annuale, l’inflazione è scesa al 166% dal 193%. E nei primi 11 mesi dell’anno è stata del 112%. E’ evidente che i numeri restino drammatici, ma in nettissimo miglioramento. Se trasponiamo il dato di novembre nei 12 mesi, otteniamo un tasso d’inflazione tendenziale al 33%. Qualche altro sforzo, ribadisce Milei, e possiamo metterci alle spalle l’instabilità dei prezzi come un cattivo ricordo.
Ma non è solo l’inflazione in Argentina ad esitare risultati positivi. Il 2024 si accinge a chiudere con conti pubblici in attivo, cioè le entrate supereranno le spese (inclusi gli interessi) per la prima volta in 123 anni di storia. E a rivendicarlo con orgoglio è stato lo stesso Milei in un discorso pubblico. E’ vero che nei primi anni Duemila vi furono avanzi fiscali finanche corposi, ma frutto del default del 2002. In pratica, lo stato aveva smesso di pagare i creditori nelle more di un accordo trovato definitivamente solo nel 2010. In questo caso, l’attivo è dato dall’ingente taglio della spesa pubblica. Gli investimenti dello stato sono stati quasi azzerati per tenere fede all’impegno di raggiungere il pareggio di bilancio.
Cambio stabile e fiducia in crescita
E c’è il cambio ad offrire ulteriori soddisfazioni. Prima che Milei lo svalutasse del 54% subito dopo l’insediamento, ufficialmente ci volevano 400 pesos per 1 dollaro. Al cambio informale (mercato nero), però, ne occorrevano 1.000. Il gap tra i due tassi era, dunque, del 150%. Oggi, il cambio ufficiale è di 1.037 pesos e quello di mercato di 1.080. La distanza si è assottigliata al 4%. Significa che il potenziale di nuova inflazione in Argentina si sta azzerando. E nell’ultimo anno l’indice Merval alla Borsa di Buenos Aires è salito del 127%.
Se è vero che il tasso di povertà è salito sopra il 50%, dalle rilevazioni emerge un altro dato confortante per il presidente: la fiducia dei cittadini verso il suo operato va persino crescendo e tra tutte le fasce di reddito della popolazione. Tra i più poveri il gradimento verso l’amministrazione doppia quello che aveva il governo di Alberto Fernandez e sfiora il 40%. Altro dato confortante: la fiducia verso lo stato s’impenna dal 24% di un anno fa al 43%, mentre la sfiducia crolla dal 73% al 53%. E questo è ancora più significativo rispetto al gradimento personale. Vuol dire che i cittadini capiscono cosa stia facendo lo stato e che si fidano in misura crescente. Un fatto che si spera potrà pesare nei prossimi mesi e anni anche quando si tratterà di pagare le imposte.
Dopo inflazione e conti pubblici in Argentina la sfida è il Pil
Azzerare inflazione e deficit in Argentina è stato sin dalla campagna elettorale la grande promessa del presidente Milei. E finalmente si sta concretizzando. Serve adesso anche che l’economia si riprenda al più presto per evitare il rischio che questo credito politico sia minacciato. I segnali dal Pil fanno sperare, anche se il segno meno resta. Lo stesso dicasi per la produzione industriale.
Non fatevi Ingannare, Milei sta spremendo la popolazione, favorendo gli investitori stranieri, ma la povertà in un anno e di 55% della popolazione, pensionati senza medicine, è miglia di licenziamenti. Prima o poi scoppia un altro Caserolazo, statene certi.