L’Albiceleste ha alzato ieri sera la sua terza Coppa del Mondo, la prima dopo trentasei anni. A trascinare l’Argentina verso la vittoria è stato il suo leader indiscusso Lionel Messi. A trentacinque anni, gli mancava solo la vittoria del mondiale per essere paragonato senza più complessi d’inferiorità a Diego Armando Maradona. Ieri sera, a Doha non c’era a congratularsi con lui e i compagni della Seleccion il presidente Alberto Fernandez. Questione di “scaramanzia”, ha dichiarato l’interessato.
Povertà e inflazione dilagano
La verità è che la gioia dei tifosi per la vittoria del mondiale si scontra con una realtà durissima e di cui i rappresentanti delle istituzioni sono percepiti diffusamente come responsabili. L’Argentina vive una delle sue peggiori fasi dell’economia. E dire che parliamo di un paese in costante declino da settanta anni, trascorsi quasi interamente sotto l’assistenza finanziaria del Fondo Monetario Internazionale (FMI).
L’inflazione a novembre ha raggiunto il 92,4%, il dato più alto da inizi anni Novanta. Il tasso di povertà si attesta al 40% e lo stato rischia il decimo default della sua storia. L’ultimo risale ad appena due anni fa. I pesos non valgono più nulla. Negli ultimi cinque anni hanno perso il 95% del loro valore e sul mercato nero un dollaro scambia a circa l’80% più forte del tasso ufficiale. Il mercato prende atto che servirebbe una maxi-svalutazione per avviare il riequilibrio di un’economia al collasso. Il governo non vuole sentirne neppure parlare.
Argentina rischia ennesimo default
I numeri, però, hanno la testa dura. La banca centrale dispone di riserve valutarie per appena 32,5 miliardi di dollari, mentre il debito estero vale 275 miliardi e quello a breve termine 82 miliardi.
Nel tentativo di arrestare la corsa dell’inflazione, l’amministrazione peronista di Fernandez ha imposto dazi sulle esportazioni. Tuttavia, queste misure storicamente hanno aggravato la condizione di miseria dell’economia argentina. E anche stavolta i risultati sono l’opposto degli obiettivi ambiti. Cosa ancora peggiore, Buenos Aires è isolata nell’Occidente. La sua politica anti-capitalistica le ha alienato le amicizie di Nord America ed Europa. Soprattutto, il governo non è considerato affidabile.
Per la prima volta dopo diversi decenni, i peronisti hanno perso il controllo del Congresso. Alle elezioni presidenziali dell’ottobre 2023, potrebbero essere battuti a favore di un leader di centro-destra. Il problema è che tra il 2015 e il 2019 l’amministrazione del liberale Mauricio Macri fallì miseramente l’obiettivo di riformare l’economia. Misure troppo timide e rimangiate alla prima avvisaglia di impopolarità finirono per indisporre gli investitori dopo l’apertura di credito ottenuta per la prima parte del mandato.
Realtà resta dura dopo i festeggiamenti
L’Argentina è ingovernabile. Lo è da decenni. Era una delle economie più ricche al mondo fino a un secolo fa. Dopodiché la demagogia al potere ha distrutto il tessuto economico nazionale. Il resto lo fece la politica agricola dell’Europa post-bellica improntata alla sovranità alimentare. Eppure il popolo aveva bisogno di una tregua dal pessimismo. L’ultima volta che aveva festeggiato un’impresa simile c’era tanto ottimismo per l’incipiente ritorno alla democrazia dopo gli anni bui della dittatura di Jorge Rafael Videla. E la volta prima – siamo nel 1978 – l’Argentina ospitò i mondiali di calcio e li vinse mentre i militari torturarono gli oppositori politici quasi sotto gli occhi delle telecamere, molti dei quali donne e ragazzi poco più che adolescenti.
Messi ha regalato un sogno ai suoi più di 45 milioni di connazionali. Un regalo di Natale a tutti gli effetti. Il clima gioioso durerà ancora diversi giorni, perché l’impresa vale la festa. Ma i problemi non saranno calciati via come un rigore. Carovita, svalutazione, povertà e assenza di prospettive sopravvivranno ai festeggiamenti. I conti con la realtà possono solo essere ignorati per qualche giorno, il tempo di recuperare energie mentali per affrontare un quotidiano sempre più duro.