Anche le pensioni dei giornalisti finiscono nel mirino dell’Inps. Come noto l’Istituto Nazionale assorbirà dal 1 luglio l’Inpgi per evitare il collasso di una cassa previdenziale dissanguata e super indebitata.
A cadere è così anche lo storico Istituto che garantiva la pensione ai giornalisti. Trattamenti privilegiati, ben inteso, concessi ai professionisti della carta stampata e televisione a fronte di contribuzioni versati insufficienti.
Giornalisti in pensione prima a spese di tutti
Secondo l’Inps, le pensioni finora erogate ai giornalisti sono del 20 per cento più alte di quelle della generalità dei lavoratori.
Tradotto, i giornalisti avrebbero dovuto lavorare almeno sei anni di più per accedere ai trattamenti privilegiati a loro riservati dall’Inpgi, a parità di contributi versati. Si tratta di sei anni di rendita che da luglio – spiega il presidente dell’Inps Pasquale Tridico – ricadranno sulla contribuzione generale dell’Inps.
Cosa che, alla luce dei fatti, smentisce ampiamente quanto finora affermato dai vertici dell’Inpgi che ritenevano che le prestazioni dei loro assistiti fossero ampiamente sostenibili e che l’istituto era intervenuto a risanare i conti.
Il trattamento privilegiato
Ma come si è arrivati al default dell’Inpgi? In primis grazie al regime di privilegio che l’istituto accordava da anni agli iscritti. Versamenti contributivi ridotti del 4% rispetto a quelli previsti dal Inps per far risparmiare soldi gli editori. In tutto 900 milioni che mancano oggi alle casse dell’Inpgi.
Anche l’aliquota di rendimento dei contributi è stata per anni superiore a quella del Inps. Il 2,66% per ogni anno di lavoro contro il 2% del Fondo lavoratori dipendenti gestito dall’Inps. In altre parole, significa che la pensione dei giornalisti risulta più alta di almeno il 20% rispetto a quella pubblica.
Dolo dal 2012, con la Fornero, l’Inpgi si è allineato alle aliquote contributive Inps, anche se era ormai troppo tardi. Già dieci anni fa la stessa Fornero aveva predetto che l’Inpgi era messo male e destinato a fallire.
Inoltre, i trattamenti Inpgi si sono allineati al meno generoso metodo contributivo solo a partire dal 2017, ben vent’anni dopo quanto avvenuto per gli altri lavoratori. A pesare sui conti, infine, ci sono anche 270 milioni di euro di contributi non riscossi dall’Inpgi presso i datori di lavoro e una mala gestio del patrimonio immobiliare.