La normativa sull’assegnazione di beni ai soci di società prevede l’obbligo di comunicazione dei dati anagrafici dei familiari che hanno ricevuto in godimento beni dell’impresa. Col suddetto provvedimento viene stabilito che i soggetti che esercitano attività di impresa, sia in forma individuale che collettiva, devono comunicare i dati anagrafici dei soci (comprese le persone fisiche che direttamente o indirettamente detengono partecipazioni nell’impresa concedente) o dei familiari dell’imprenditore che hanno ricevuto in godimento beni dell’impresa, nonché effettuano qualsiasi forma di finanziamento o capitalizzazione nei confronti della società concedente.
sia dall’impresa individuale o dal familiare dell’imprenditore, quanto dalla società o dai soci che la costituiscono.
In questo modo, nel momento in cui la comunicazione viene effettuata da uno dei soggetti legittimati all’adempimento, l’obbligo è da considerarsi assolto.
Per quanto riguarda invece il valore dei beni concessi in godimento, il provvedimento stabilisce che la comunicazione deve essere effettuata a prescindere dal valore dei beni concessi in godimento.
L’unica eccezione riguarda i beni diversi che non rientrano nelle seguenti categorie:
- autovetture;
- altri veicoli;
- unità da diporto;
- aeromobili;
- immobili.
SANZIONI PER OMESSA COMUNICAZIONE
Quindi, nel caso di beni considerati come categoria “altro”, viene stabilita l’esenzione dall’obbligo di comunicazione qualora detti beni siano di valore non superiore a 3.000 euro, al netto dell’imposta sul valore aggiunto applicata. Non si dovrà quindi comunicare l’uso del cellulare, del tablet o del portatile assegnati ai soci o ai familiari dell’imprenditore. Si tenga però presente che l’esonero della comunicazione previsto per i beni cosiddetti “minori”, non dovrebbe in alcun modo scalfire le penalizzazioni introdotte sull’impresa e sui soci o familiari dell’imprenditore dal decreto.
In caso di omessa presentazione della comunicazione o presentazione della stessa con dati incompleti o non veritieri è applicabile la sanzione che è pari al 30% della “differenza tra il valore di mercato ed il corrispettivo annuo per la concessione in godimento”. La sanzione è prevista nella misura da un minimo di 258 euro ad un massimo di 2.065 euro (ex art. 11, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 471/97) se i soggetti interessati si sono “conformati alle disposizioni” in esame.