Prendere l’Assegno di Inclusione e lavorare è possibile.
Anzi, è una delle basi del cambio normativo che ha portato alla sostituzione del Reddito di Cittadinanza con l’Assegno di Inclusione. La misura precedente era infatti accusata di favorire coloro che non avevano intenzione di cercare e trovare un lavoro. Non si possono dimenticare le polemiche sui beneficiari dei sussidi pagati per restare sul divano di casa.
Lavorare e percepire un sussidio, che ricordiamo integra il reddito della persona, è ammesso, ma entro determinati limiti e secondo le regole prescritte.
In risposta ai tanti beneficiari dell’Assegno di Inclusione che ci chiedono, dopo aver ricevuto proposte lavorative, come fare per non perdere il sussidio, ecco una guida dettagliata. Comprende anche le regole per i beneficiari che desiderano mettersi in proprio, avviando una piccola attività professionale o di lavoro autonomo.
Assegno di Inclusione e lavoro, le due cose possono coesistere
L’Assegno di Inclusione, a differenza del Reddito di Cittadinanza, guarda meno ai giovani. La nuova misura è infatti rivolta a soggetti in condizione di fragilità e a famiglie con membri in tali condizioni. Possono essere considerati potenziali beneficiari dell’ADI soggetti con meno di 18 anni, più di 60 anni, invalidi, persone con carichi di cura o presi in carico dai servizi sociali e assistenziali del Comune o dai servizi sanitari delle ASL.
Essere beneficiari dell’ADI significa godere di un sussidio mensile ad integrazione del reddito del nucleo familiare, fino a 500 euro al mese per singolo, con importi variabili in base alla composizione del nucleo familiare e alla sua scala di equivalenza. E se nella famiglia c’è chi lavora o trova lavoro? Ecco come rendere le due cose compatibili, perché la legge lo permette.
ADI e lavoro, ecco come capire la compatibilità tra sussidio e nuova attività lavorativa
L’Assegno di Inclusione non va in conflitto con un’attività lavorativa svolta.
ISEE, redditi e tutti i requisiti devono essere rispettati per non perdere il diritto all’Assegno di Inclusione
Le regole sono previste dall’articolo 3, commi 5-7, del DL numero 48 del 2023, che ha introdotto l’Assegno di Inclusione (ADI). Come detto, attenzione alla soglia dei 3.000 euro lordi, perché superandola si rischia la riduzione o la decadenza del sussidio. Superato il limite, questo reddito incide sul diritto all’ADI da parte degli interessati.
Dal punto di vista strutturale, l’Assegno di Inclusione ha parametri reddituali e di ISEE ben definiti. L’ISEE non deve superare 9.360 euro annui e deve fare riferimento all’intero nucleo familiare. Il reddito del nucleo familiare non deve eccedere la soglia di 6.000 euro per il singolo, moltiplicato per la scala di equivalenza e in base alla composizione del nucleo familiare. Per i beneficiari over 67, la soglia reddituale da moltiplicare parte da 7.560 euro per il singolo.
Ecco come comunicare all’INPS le variazioni e cosa si rischia a non adempiere
Senza entrare nel merito delle altre condizioni utili al beneficio, come la componente patrimonio immobiliare (case, terreni e fabbricati) o mobiliare (soldi in banca o alle poste, carte di credito, conti correnti, libretti, buoni, ecc.), va detto che una cosa sono i requisiti per la presentazione della domanda. Un’altra sono quelli che devono essere rispettati durante la fruizione del beneficio.
L’interessato ha l’obbligo di comunicare all’INPS, l’ente che eroga materialmente le ricariche sulla card ADI, entro 30 giorni dall’inizio dell’attività lavorativa, il reddito presunto. Questa operazione deve essere effettuata tramite il modello Adi.Com.
Solo la parte eccedente i 3.000 euro incide sul beneficio e ne calcolerà l’importo, fino a quando il reddito aggiuntivo calcolato per l’intero anno non sarà considerato nell’ISEE. In quel caso, sarà considerato per il rispetto della soglia di reddito familiare da non eccedere, che parte da 6.000 euro. Chi non comunica la variazione e il reddito presunto rischia la sospensione dell’Assegno di Inclusione dopo 90 giorni di ritardo.