Interessante l’asta dei BTp in calendario per giovedì 11 maggio. Il Tesoro offrirà nuove tranche di tre titoli di stato già in circolazione per un controvalore minimo di 7,5 e massimo di 8,5 miliardi di euro. Le scadenze sono rispettivamente di 3, 7 e 20 anni. Vediamo insieme le caratteristiche dei bond e perché si mostrano allettanti per i risparmiatori.
- BTp 15 aprile 2026, cedola 3,80% (ISIN: IT0005538597), quinta tranche, 3-3,5 miliardi;
- BTp 15 giugno 2030, cedola 3,70% (ISIN: IT0005542797), terza tranche, 3,25-3,75 miliardi;
- BTp 01 settembre 2043, cedola 4,45% (ISIN: IT0005530032), seconda tranche, 1,25-1,50 miliardi.
Tratto 3-7 anni preferito da famiglie italiane
Il BTp a 3 anni esibisce al momento una quotazione decisamente sopra la pari, in area 101.
Ben più interessante sembra essere, quindi, il BTp a 7 anni. Il titolo si acquista ancora sotto la pari. La quotazione sul Mercato obbligazionario Telematico di Borsa Italiana sfiora i 99 centesimi, per cui il rendimento alla scadenza si aggira in area 3,95%. Al netto, siamo sul 3,45%. Data la maggiore durata e l’inflazione calante attesa per i prossimi anni, questo bond riuscirebbe teoricamente a generare un rendimento reale positivo. In altre parole, batterebbe l’inflazione nella media del periodo.
C’è altresì da dire che le famiglie italiane vanno ghiotte particolarmente per il tratto della curva che arriva fino ai sette anni. Dunque, questo secondo titolo di stato sembra essere quasi una scadenza-limite per i portafogli dei più. Molti piccoli investitori hanno paura a vincolare la liquidità per un periodo di tempo eccessivamente lungo.
Asta BTp, scadenze lunghe croce e delizia
Infine, il BTp a 20 anni. Offre una cedola alta e quota sui 98,20 centesimi sul mercato secondario per un rendimento lordo alla scadenza superiore al 4,65% e netto di quasi il 4,10%. Buon investimento, a patto che si sia disposti a correre qualche rischio. In effetti, avendo una durata lunga, il bond risulta più volatile in termini di prezzo al variare dei rendimenti sottostanti. Chi non avesse la certezza di poter mantenere il titolo in portafoglio fino alla fine, dovrebbe ragionarci un po’ su. D’altra parte, è molto probabile che nei prossimi anni i rendimenti scendano e, quindi, che sia possibile disinvestire con profitto.
Tuttavia, non solo non esiste la certezza che ciò si realizzi, dipendendo da fattori macro e internazionali non sempre prevedibili; c’è anche la possibilità che l’Italia veda allargare gli spread come accadde nel decennio successivo alla crisi finanziaria mondiale del 2008. Anche in un contesto di rialzo obbligazionario, i nostri titoli di stato potrebbero soffrire. Non sarebbe lo scenario di base, ciò non toglie che quando s’investe nel lungo periodo si tenga conto anche dei rischi meno percepiti sul momento.