Il dollaro è sotto attacco in Asia, dove la Cina sta orchestrando una crescente concorrenza allo status di valuta di riserva globale della divisa americana. Mission impossible per il breve e medio termine. La supremazia delle banconote con l’effige di George Washington è fuori discussione oggi, tra un anno e possibilmente anche tra dieci anni. Ma la superpotenza americana non può permettersi di commettere l’errore di autocompiacersi, perché i segni di un certo suo declino esistono, non da oggi, e non vanno sottovalutati.
Una valuta è forte quando forte è la sua economia. Da questo punto di vista, nessuno oggi affermerebbe in giro per il mondo che gli Stati Uniti abbiano un’economia fiacca. Il PIL pro-capite superava i 75.000 dollari nel 2022, quando nell’Area Euro non arrivava a 36.500 dollari, meno della metà. Certo, il costo della vita è più alto Oltreoceano, ma resta indubbio che la ricchezza tra gli americani sia altissima. Il dollaro sarebbe in una botte di ferro, se pensiamo che il PIL pro-capite in Cina fosse soltanto di 12.420 dollari a fine 2022, un sesto della superpotenza americana.
Tuttavia, c’è modo e modo di produrre ricchezza. E gli Stati Uniti stanno accumulando debiti sempre più alti. Tra settore pubblico e privato, superano il 350% del PIL. A fine anni Novanta, erano ancora sotto il 245%. Se è nota la propensione all’indebitamento delle famiglie, il trend più preoccupante negli ultimi decenni riguarda il debito pubblico. E’ salito al 129% del PIL dal 59% del ’99. Un boom che si spiega con l’incapacità del governo federale di tenere a bada la spesa pubblica. Infatti, se è vero che le entrate fiscali nel 2021 erano al 26,6% del PIL, risultando in calo dal 28,3% di inizio millennio, le uscite nel frattempo sono salite dal 31,7% al 37% del PIL.
Forza dollaro è fiducia
Il deficit fiscale medio tra 2000 e 2019 (abbiamo escluso volutamente gli anni della pandemia) è stato del 3,6%, coincidente quasi perfettamente con il disavanzo commerciale tra 2000 e 2022.
La dinamica del PIL potrà anche apparire positiva, ma se andiamo ad approfondire le cose stanno molto meno bene di quanto pensiamo. Tra il 1999 e il 2022, il PIL è cresciuto di 16.240 miliardi (+164%) in termini nominali, il debito pubblico di 25.645 miliardi (+455%). Ci sono voluti 1,58 dollari di debito per produrre 1 dollaro in più di PIL. Questi dati dimostrano che gli Stati Uniti sono e resteranno anche nei prossimi anni una superpotenza, ma basano da troppo tempo le direttrici della loro crescita su fondamentali insostenibili. L’eccesso di debito è reso possibile grazie a un dollaro forte, universalmente riconosciuto e accettato negli scambi commerciali e finanziari.
In pratica, il benessere degli americani si regge sulla fiducia che il resto del mondo ha di Zio Sam. Essa è un bene prezioso, ma non incondizionato. Continuare ad accumulare debiti senza risolvere il nodo del rapporto tra spesa e tassazione, può portare in un futuro neppure così lontano a dubitare del dollaro quale valuta di riserva mondiale. Tra l’altro, uno degli svantaggi di essere una superpotenza è che i presunti “amici” ti mollano al sentore degli scricchiolii. Il discorso pronunciato da Emmanuel Macron contro dollaro e politica estera americana è sintomatico di un certo modo di pensare presso le cancellerie occidentali: gli Stati Uniti sono i nostri migliori alleati finché portano benefici, nel caso contrario saremo semplici conoscenti. Se San Pietro rinnegò Gesù per tre volte, immaginate cosa accade tra gli stati in caso di difficoltà.