Belgio, jihad e Islam radicale: perché il cuore d’Europa fa paura

Il Belgio è nell'occhio del ciclone: per il cuore d'Europa è suonata la sveglia e adesso c'è un problema che si chiama Islam radicale da risolvere. Ma da dove nasce tutto questo caos?
9 anni fa
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Recentemente l’Europa e il mondo intero sembrano aver scoperto che in Belgio la situazione non è poi così rosea: la capitale dell’Unione europea vivrà ben 9 giorni consecutivi di coprifuoco, periodo nel quale le forze di sicurezza del Paese cercheranno di fermare le cellule del terrore che proprio in Belgio – e non solo a Molenbeek – si nascondono e organizzano attentati. Il Paese delle moules-frites è nell’occhio del ciclone, mediatico e sociale: possibile che in tutti questi anni nessuno si è accorto di niente? In realtà, chi vive in Belgio, è perfettamente consapevole della situazione in cui verte il Paese.

L’unico problema è che della terra che ha dato i natali a Georges Simenon, Jacques Brel e Amélie Nothomb a pochi è realmente importato, almeno fino ai giorni dopo gli attentati di Parigi. Belgio, Jihad, Islam radicale: oggi si parla di questo trittico come se fosse una cosa sola, come se questo Paese rappresentasse la base europea del Califfato. Eppure i segnali erano evidenti anche molto tempo prima degli attacchi di Parigi, anche di quelli fatti a Charlie Hebdo; il problema vero è che nessuno se n’è curato.  

Geografia sociale del Belgio

La situazione è preoccupante nel cuore d’Europa: una capitale così blindata e protetta dalle forze dell’ordine non si era mai vista. Qualcuno più anziano ricorda che è come in tempo di guerra. Fa specie vedere come il cuore politico-economico dell’Unione europa sia in realtà così fragile, come qui si nascondino diversi foreign fighters, come qui si sia particolarmente radicalizzato – in alcune zone – l’Islam, al punto tale da dare vita a frange estremiste. La situazione sociale del Belgio, invero, è molto simile a quella del nord della Francia: se vuoi andare in giro di notte devi sapere dove devi andare, altrimenti rischi di dover cominciare a correre, se capiti nella zona sbagliata.

Se poi capiti nei quartieri musulmani, e più nello specifico in quelle zone che sono diventate dei veri e propri ghetti esclusivi – come Molenbeek, a Bruxelles – e soprattutto se sei donna, devi essere pronta a ricevere insulti, magari per un vestito che lascia scoperta una parte di pelle. Puttana, è l’epiteto più gentile che da queste parti rivolgono alle donne occidentali.  

Fiamminghi e Valloni

Il Belgio ha accolto tutti, indiscriminatamente: forse per un senso di colpa nei confronti dell’antico processo di colonizzazione. Una sorta di pentimento che è sfociato in quel porte aperte che i francesi, altro Paese coloniale, conoscono bene. Attenzione, però: non tutto il Belgio si dimostra così ospitale con gli stranieri. Il Paese vive infatti una situazione abbastanza complessa dal punto di vista identitario e sociale, tant’è che spesso si sente dire come tra qualche anno il Belgio non esisterà più. Da una parte ci sono i fiamminghi: il popolo più “olandese”, quello che più di tutti vorrebbe la secessione, che è anche la parte più ricca e più razzista. Dall’altra ci sono i valloni, la parte più francese, e non è un caso che proprio nelle città della Vallonia ci siano state le perquisizioni dei giorni scorsi. oltre a Bruxelles, Charleroi e Liegi. E’ qui il vero problema, perché i fiamminghi sono accoglienti con gli immigrati tanto quanto lo sono i leghisti in Italia. Con qualche differenza concettuale decisamente importante, che non può certo mettere in parallelo i due schieramenti.  

Disoccupazione e reddito minimo

Insomma, la parte fiamminga del Belgio è anche quella più ricca, mentre quella vallone è quella più povera. Si può però davvero parlare di povertà? Oggi forse sì, perché sono state adottate delle misure anti-crisi – in un Paese in cui la crisi c’è e c’è stata ma è veramente molto debole rispetto ad altri Paesi a noi noti – che hanno di fatto cancellato alcuni privilegi.

E prima si poteva parlare di povertà? Non proprio: molti francesi del nord venivano in Belgio per ottenere la disoccupazione. Il fatto è che qui, se non lavori, hai una disoccupazione minima di 750 euro. Chi invece ha lavorato può arrivare a percepire anche un classico stipendio italiano (1.200). Va però ricordato che qui siamo in Belgio e non in Italia e lo stipendio minimo fisso equivale proprio a 1.200 euro nella maggior parte dei casi. Prima della riforma il sussidio di disoccupazione non aveva alcun termine e non doveva soddisfare praticamente nessun requisito restrittivo per il suo ottenimento. Dopo la riforma, questo, non è più possibile. Chi non aveva il sussidio di disoccupazione, comunque, poteva affidarsi al reddito minimo, che veleggia sempre su quelle cifre: praticamente lo stipendio netto attuale di un lavoratore italiano tipo oggi. Sostanzialmente, in Belgio, un barbone faceva la vita da nababbo.  

Da dove nasce il welfare belga

Oggi la situazione è più complessa ma il welfare belga, fatto anche di benefit sociali, nato molto tempo prima, in un periodo nel quale si cercava di attirare in ogni modo polacchi e italiani affinché lavorassero in miniera, di fatto ha attirato anche tutti gli altri: mediorientali, africani ed europei, indistintamente. Si sono sistemati, hanno prodotto per il Paese, hanno approfittato del welfare, hanno creato famiglie numerose, hanno ottenuto ulteriori benefit. E lo stesso hanno fatto le generazioni successive e quelle successive ancora. Che nel frattempo sono cittadini belgi a tutti gli effetti. Il fatto è anche questo: in Belgio esistono pochi belgi, di fatto. Una buona parte di loro ha un nome esotico: italiano, arabo, polacco. E non è un caso che il Belgio sia conteso da tutti. Anche da quell’Islam radicale che vuole farlo diventare il cuore musulmano d’Europa e adottarvi la Sharia, la legge ispirata ai precetti del Corano.  

La Sharia in Belgio

Nel frattempo la comunità musulmana in Belgio è ampiamente cresciuta per un motivo semplicissimo: fanno più figli.

Così come i valloni fanno più figli dei fiamminghi – e il motivo per il quale i fiamminghi non hanno ancora spinto con forza per una divisione del Paese, oltre alla presenza del Re, è anche la non-risposta alla domanda seguente: chi ci pagherà le pensioni? Si dice che i musulmani a oggi rappresentano un quarto della popolazione belga. Tra di loro, ci sono i musulmani integrati e quelli più radicalizzati ed estremisti. Proprio questi ultimi affermano come entro il 2030 il Belgio diventerà totalmente musulmano, e chi lo afferma rivela anche che vigerà la legge della Sharia. Non è un caso l’emergere di uno dei gruppi più estremisti e radicali del Paese dal nome emblematico, Sharia4Belgium. Per il leder di questo gruppo, Fouad Belkacem, i musulmani democratici non esistono. I veri musulmani seguono solo la parola di Allah. I musulmani democratici esistono tanto quanto esistono i cristiani ebrei o gli ebrei musulmani. E’ una contraddizione in termini insomma. Essere contro la Sharia significa non essere musulmano. Un’idea radicale ed estrema, con la quale però non tutti i musulmani belgi sono d’accordo.  

Il tramonto delle feste cristiane

Per capire la complessità della convivenza in Belgio e il crescente odio per l’Islam da parte di alcuni cittadini, basta fare un viaggio nei profili belgi dei social network, nei quali si cerca di salvare il Natale e Saint Nicolas dal tentativo delle comunità islamiche più estreme di rompere questi riti e tradizioni. Ed è così che la festa di Ognissanti si è trasformata nelle vacanze d’autunno, così come quelle di Natale sono diventate le feste d’inverno e quelle di Pasqua le feste di primavera. Per rispetto nei confronti della comunità musulmana che, ghettizzata e non integrata, ha ottenuto il riconoscimento della propria autorità senza che nessuno muovesse un dito. Il fatto è che la cosa non è andata giù a molti cittadini belgi che vorrebbero continuare a far rispettare le tradizioni e ad addobbare alberi di Natale veri e propri in piazza durante le festività piuttosto che simboli di design ridicoli e lontani dal vero spirito del Natale (la maggioranza dei belgi è di fede cattolica).  

E’ troppo tardi?

Oggi, dopo gli attentati di Parigi, è come se fosse appena suonata la sveglia: il governo ha infatti confessato come Molenbeek rappresenti un problema gigantesco che non è stato controllato, né tanto meno arginato. Il sindaco Françoise Schepmans ha invece rivelato come la maggior parte dei cittadini sono musulmani che non si sono integrati e che rifiutano i valori dell’Occidente e dell’Europa. Da qui al contatto con i jihadisti il ponte è presto costruito: in molti partono verso i porti franchi dello Stato islamico, in Siria e in Iraq, si addestrano per diventare combattenti e poi tornano in Europa in attesa di un segnale. Il problema è stato ampiamente sottovalutato, insomma, e adesso, per risolverlo, ci vorrà molto più tempo del previsto.