Buone notizie per i primi cittadini con la legge di Bilancio per il 2022. Il governo Draghi ha fissato aumenti sostanziosi per gli stipendi dei sindaci, destinando a questa voce di spesa altri 200 milioni di euro. E’ la fine del “grillismo”, se è vero che una siffatta misura sia stata adottata proprio con il Movimento 5 Stelle in maggioranza. Le indennità saranno commisurate a quelle dei governatori delle regioni come di seguito:
- 100% per i sindaci delle città metropolitane;
- 80% per i sindaci dei comuni capoluogo di regione e dei comuni capoluogo di provincia con popolazione superiore a 100.000 abitanti;
- 70% per i sindaci dei comuni capoluogo di provincia con popolazione fino a 100.000 abitanti;
- 45% per i sindaci dei comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti;
- 35% per i sindaci dei comuni con popolazione da 30.001 a 50.000 abitanti;
- 30% per i sindaci dei comuni con popolazione da 10.001 a 30.000 abitanti;
- 29% per i sindaci dei comuni con popolazione da 5.001 e 10.000 abitanti;
- 22% per i sindaci dei comuni con popolazione da 3.001 a 5.000 abitanti;
- 16% per i sindaci dei comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti.
Poiché lo stipendio più alto tra i governatori è di 13.800 euro lordi al mese, questo significa che i sindaci di città come Roma o Milano percepiranno altrettanto, nettamente di più dei 7.019 euro attuali.
Le novità sono positive anche per i vice-sindaci, gli assessori e i presidenti del consiglio. Ad esempio, i primi avranno il 75% degli stipendi dei sindaci, cioè fino a 10.350 euro al mese nelle città metropolitane, il doppio di oggi. Fissato al 65% lo stipendio di assessori e presidenti del consiglio, qualcosa come fino a 8.970 euro.
Aumenti stipendi sindaci, fine del grillismo
Qual è la ratio di questi aumenti? Il governo Draghi ha preso atto che sui sindaci ricadono responsabilità amministrative poco valorizzate. I rischi a cui vanno incontro sono spesso elevati. E’ ormai raro che un primo cittadino al termine del suo incarico non abbia alle spalle un qualche procedimento giudiziario nei suoi confronti. La legislazione è spesso confusa e si presta a interpretazioni disparate, rendendo labile il confine tra atti amministrativi leciti e non.
Si è visto, poi, che i bassi stipendi abbiano finito con l’allontanare dalla politica, specie nei comuni di medio-piccole dimensioni, le professionalità dei territori. Ormai è diventato sempre più difficile convincere un avvocato, un commercialista, un piccolo imprenditore o anche solo un dipendente del settore privato a mettersi in gioco alle elezioni amministrative. La ragione è semplice: il gioco non vale la candela. Se è vero che la politica non debba essere fatta per soldi, è altrettanto vero che non si possa pretendere che chi la fa ci rimetta di tasca propria. La democrazia ha un costo, che non deve essere smisurato, ma neppure essere compresso al punto tale da rendere impossibile o non conveniente ai più di esercitarla. La gratuità delle cariche elettive, a cui molti italiani aspirano dopo anni di propaganda grillina, sarebbe la ricetta perfetta per consegnare le chiavi del Bel Paese a una élite autoreferenziale ed economicamente potente.
Possiamo dibattere ovviamente sulla giustezza degli aumenti fissati. Appare spropositato forse equiparare gli stipendi dei sindaci nelle grandi città a quelli dei governatori. Il sindaco di comuni come Roma e Milano dovrebbero percepire oltre 165.000 euro lordi all’anno? Detto questo, il provvedimento costituisce la prima inversione di tendenza dopo molti anni passati a inseguire la demagogia spicciola tagliando gli stipendi di chi amministra e riducendone il numero.