Il periodo della pensione dovrebbe essere quello della tranquillità, durante il quale godere di un meritato riposo dopo lunghi anni di lavoro. Possibilmente grazie a una pensione congrua da centrare quando ancora si ha la forza di vivere e di fare. Rivalutazioni, spostamenti di età, Quote che valgono il tempo di un calendario: spesso sembra di assistere ai rammendi di emergenza della nonna per salvare una misura ormai piena di strappi.
Come avevamo anticipato mesi fa, la riforma pensioni sarà, infatti, un ritocco al quadro già esistente.
Il debito pubblico italiano è alto, anzi altissimo. Bruxelles ha messo dei paletti rigidi sulle pensioni anche perché il nostro Paese spende quasi il 17% del Pil. Nessuno in Europa ci eguaglia e questo, se da un lato premia il welfare, dall’altro ci condanna a una bassa crescita e competitività.
In pensione con Quota 103, nulla di nuovo
Detto ciò, dal prossimo anno si potrà ancora andare in pensione anticipata, ma con Quota 103. Salvo sorprese dell’ultimo momento da parte del Parlamento, si potrà uscire a partire da 62 anni di età, ma con almeno 41 di contributi.
Un passaggio quasi obbligato e anche previsto già da tempo, ma che agli occhi dei lavoratori sembra una novità, vista la fine di Quota 102 fra poche settimane. Eppure era evidente che la coperta fosse troppo corta per fare di più. Anche perché sarà prorogata al 2023 anche Opzione Donna e Ape Sociale.
Si accontenta così la Lega che puntava molto a Quota 41 per le pensioni anticipate, anche se di fatto questo ritocco di Quota 102 non porterà grandi cambiamenti. Saranno poche migliaia di lavoratori che beneficeranno di una uscita anticipata a 62 anni. Inoltre costerà relativamente poco, meno di 1 miliardo di euro.
Soldi che comunque andranno trovati da qualche parte. Forse un po’ di qua e un po’ di là dai vari capitoli di spesa dello Stato. Sicuramente qualcosa arriverà dai risparmi di Quota 100 e 102. Altro salterà fuori dai tagli al reddito di cittadinanza. Ma potrebbe non bastare.
Chi finanzierà l’uscita anticipata
Ecco quindi spuntare l’ipotesi, come anticipato da investireoggi.it lo scorso mese di ottobre, di limare le rivalutazioni delle pensioni a partire dal 2023. Un capitolo spinoso, ma che andrebbe a toccare le rendite d’oro e d’argento su cui non c’è più il contributo di solidarietà.
Insomma, a finanziare Quota 103 potrebbero essere chiamati anche i rentier più facoltosi, quelli che percepiscono più di quattro volte il trattamento minimo di pensione (525,38 euro), cioè dai 2.100 euro in su. Attualmente la legge prevede che le pensioni siano rivalutate al 100% solo fino a 4 volte il minimo. Da 4 a 5 volte la perequazione automatica scende al 90%, mentre sopra le 5 volte scende al 75%.
Ebbene il governo potrebbe abbassare tali percentuali per recuperare i soldi necessari a sostenere Quota 103. Sempre nel rispetto della sostenibilità finanziaria delle riforme, come aveva sempre detto l’ex premier Mario Draghi. Non proprio uno stravolgimento delle aliquote, ma un abbassamento che potrebbe anche avere le caratteristiche dell’occasionalità essendo Quota 103 valida solo per 12 mesi.