Aumento delle pensioni a gennaio, c’è chi prenderà 3.200 euro una tantum

Aumento delle pensioni a gennaio, c’è chi prenderà 3.200 euro una tantum se la Corte Costituzionale condannerà il governo.
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Aumento pensioni gennaio
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Le pensioni nel 2025 e gli aumenti di gennaio sono l’argomento più popolare tra i pensionati. Come sempre a partire dal rateo di gennaio aumenteranno le pensioni perché come sempre accade i trattamenti vengono adeguati al tasso di inflazione. Stavolta un aumento a dir poco irrisorio, perché dovrebbe essere pari all’1%. Cambia però il meccanismo di indicizzazione, che diventa meno penalizzante per alcuni pensionati. Ma l’attesa oltre che per gli aumenti di gennaio è per la sentenza della Corte Costituzionale.

Perché il governo ha deciso di cambiare metodo di perequazione? Probabilmente perché il metodo usato quest’anno, è troppo penalizzante per le pensioni sopra 4 volte il trattamento minimo. Ma soprattutto perché si attende che la Consulta dia una risposta sulla presunta incostituzionalità del meccanismo. Perché se i giudici costituzionalisti dichiarano illegittimo rispetto alla Costituzione il metodo usato, c’è chi potrebbe prendere oltre 3.200 euro di arretrati in un colpo solo.

Aumento delle pensioni a gennaio, c’è chi prenderà 3.200 euro una tantum

L’aumento del costo della vita con cui l’INPS adeguerà le pensioni nel 2025 è inferiore rispetto agli anni precedenti. Di questi tempi nel 2022 e quindi per gli aumenti del 2023 si parlava di una inflazione previsionale del 7,3% che poi diventò dell’8,1% come tasso definitivo. Allo stesso modo di questi tempi nel 2023, per gli aumenti del 2024, si parlava di inflazione al 5,4% previsionale poi passata al 5,7%. Per il 2025 solo l’1% di inflazione e quindi di aumento delle pensioni e nemmeno per tutti i pensionati.

Il metodo della rivalutazione prevede tagli rispetto al tasso di inflazione per le pensioni più alte e proporzionali all’importo della pensione. Anche il meccanismo che si adotterà quest’anno, almeno stando a ciò che si evince dalla manovra di Bilancio, prevede tagli.

Certo non esagerati come quelli del metodo 2024 finito davanti alla Corte Costituzionale. Ma sempre di tagli si parla.

Il metodo precedente prevedeva tagli a partire dalle pensioni di importo sopra 4 volte il trattamento minimo. Nel dettaglio, sulle pensioni sopra 4 volte il trattamento minimo veniva prevista l’indicizzazione all’85% del tasso di inflazione. Per le pensioni sopra 5 volte e fino a 6 volte il minimo perequazione al 53%. E poi ancora, al 47% ed al 37% rispettivamente per le pensioni fino a 8 volte il minimo e fino a 10 volte il minimo. Infine, il 22% per le pensioni oltre 10 volte il minimo.

Calcoli alla mano, ecco i pensionati che ci hanno rimesso tanto

Considerando i 598 euro circa del trattamento minimo 2024 che nel 2025 diventerà sopra i 600 euro, una pensione sopra 10 volte il minimo è un trattamento da 6000 euro lordi al mese all’incirca. Una pensione da 6.000 euro doveva aumentare di 342 euro al mese al 5,4% di indicizzazione, invece è aumentata di 75 euro, cioè il 22% del 5,7%.

Generando ogni mese di pensione nel 2024 una perdita per il pensionato di 267 euro. Solo per i 12 mesi senza tredicesima del 2024 parliamo di una perdita di oltre 3.200 euro. Che, se la Consulta darà conto al governo, lo stesso governo dovrà risarcire i pensionati. E per chi per esempio ha un trattamento di 6.000 euro esatti, ecco che il credito è di oltre 3.450 euro.

Nel 2025 il governo apre ha deciso di passare alla rivalutazione piena per i trattamenti fino a 3 volte il minimo, al 90% per le pensioni fino a 5 volte il minimo e al 75% per quelle sopra 5 volte il minimo. Ma soprattutto, con rivalutazione scaglionata e non sull’intera pensione come nel vecchio meccanismo. Una pensione da 6.000 euro al mese verrà indicizzata al 100% fino a 2.400 euro (4 volte il minimo), al 90% per la parte sopra 2.400 e fino a 3.000 euro (5 volte il minimo) e al 75% per la parte superiore.

In attesa delle decisioni della Consulta, messa una pezza provvisoria

Negli anni successivi alla riforma Fornero ci fu una situazione del tutto simile ad oggi.

Infatti anche la legge Forenro impose dei tagli alle pensioni. Anzi, il decreto Salva Italia del governo Monti decise di imporre tagli sia ai pensionati che ai lavoratori statali. Con un autentico blocco della perequazione. Ed anche allora fu chiamata la Consulta a decidere se il blocco era in linea con la Costituzione o se andava contro i principi della Carta. All’epoca la Consulta bocciò quel metodo e condannò il governo a risarcire, anche se moderatamente rispetto alle perdite, i penalizzati.

Ecco perché prima di quantificare ciò che accadrà davvero ai pensionati in caso di sentenza della Consulta sfavorevole al governo, bisogna attendere. La proporzione di ciò che potrebbe accadere alle casse dello Stato in caso di sentenza sfavorevole con obbligo di rimborso per tutti e in misura piena è immane.

Un autentico salasso che metterebbe in ginocchio le già precarie casse dello Stato. All’epoca fu introdotto un Bonus Poletti, come venne chiamato l’intervento di quel governo a tamponare la falla creata dalla Fornero. Ci furono erogazioni una tantum come rimborso per i malcapitati, ma senza andare a rimborsare tutti i soldi che avevano perso. Bisognerà quindi adesso attendere ciò che saranno le decisioni della Corte Costituzionale per capire cosa effettivamente incasseranno di più i pensionati. Se tutto ciò che hanno perduto nel 2024 o solo una parte.

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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