Aumento delle pensioni di gennaio, due diverse ipotesi di rivalutazione ma una è più favorevole

Aumento delle pensioni di gennaio, due diverse ipotesi ma una è più favorevole, ecco come funziona la rivalutazione oggi e come era ieri.
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2 mesi fa
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Pensione di vecchiaia o anticipata, ecco come fare nel 2025 per accelerare le uscite
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La perequazione delle pensioni, anche nota come indicizzazione o rivalutazione, è il meccanismo automatico che adegua i trattamenti pensionistici alla perdita del potere d’acquisto dovuta all’inflazione. Ogni anno l’ISTAT certifica l’aumento del costo della vita, il governo lo ratifica tramite decreto e l’INPS, seguendo le indicazioni governative, provvede a indicizzare le pensioni.

Il meccanismo imposto dal governo è cambiato profondamente nel corso degli anni e quasi mai rimane invariato da un anno all’altro, soprattutto di recente.

Pare che anche per il 2025 vi siano incertezze su come indicizzare i trattamenti pensionistici, con due diverse ipotesi al vaglio, una delle quali più favorevole per i pensionati.

Una sintetica storia della perequazione delle pensioni in Italia, da dove si parte?

La rivalutazione annuale delle pensioni consente di adeguare l’importo delle pensioni all’aumento del costo della vita, mitigando la perdita del potere d’acquisto. Ciò che oggi si compra con 10 euro, probabilmente non sarà più acquistabile con la stessa somma nel 2025: servirà di più. Questo è un classico esempio di inflazione e spiega perché le pensioni vengono annualmente indicizzate.

L’introduzione di questo meccanismo risale a circa 55 anni fa, con la Legge numero 153 del 1969 (nota come Legge Brodolini), che stabilì l’indicizzazione automatica delle pensioni al tasso di inflazione. Le pensioni venivano adeguate in misura piena rispetto all’inflazione certificata dall’ISTAT, senza differenze tra le tipologie e gli importi pensionistici.

Nel 1975 fu introdotta una novità importante con la Legge 160: il calcolo della variazione percentuale dell’indice del costo della vita si basava ora sulla media dei valori in un periodo specifico, anziché su una valutazione diretta del tasso di inflazione. Si considerava anche la media delle retribuzioni e degli stipendi del periodo.

Dalla riforma Amato tutto cambiò, ecco i primi utilizzi della rivalutazione ridotta per fasce

Dopo il boom economico, l’Italia degli anni ’90 si trovò ad affrontare una crisi economica, con conseguenti problemi di bilancio pubblico.

A partire dalla riforma pensionistica del 1992, contenuta nel Decreto legislativo numero 503 (nota come Riforma Amato), le pensioni vennero indicizzate solo in base all’aumento del costo della vita, senza più considerare le retribuzioni.

Inoltre, si introdusse la perequazione per fasce: solo la parte di pensione fino a due volte il trattamento minimo veniva rivalutata al 100%, mentre la parte tra due e tre volte il minimo veniva rivalutata al 90%, e quella oltre tre volte solo al 75%.

La legge Fornero, e la rivalutazione delle pensioni finisce alla Consulta

Nel 2000, con la Legge numero 388, si rese strutturale un sistema che prevedeva una rivalutazione al 100% dell’inflazione per le pensioni fino a 4 volte il trattamento minimo, al 90% per la quota tra 4 e 5 volte, e al 75% per le pensioni superiori a 5 volte il minimo. Tuttavia, con la Riforma Fornero del 2011, tutto cambiò. Il governo Monti, nell’ambito del Decreto Salva Italia, bloccò la rivalutazione per le pensioni superiori a 3 volte il minimo, suscitando numerose polemiche. Questo blocco finì alla Corte Costituzionale, che dichiarò la misura incostituzionale, imponendo risarcimenti, seppur limitati, ai pensionati.

Il grande cambiamento per la perequazione è arrivato con la manovra di Bilancio del 2014, quando si decise di passare ad aumenti scaglionati in 4 fasce

Un cambiamento significativo nella perequazione arrivò con la Legge di Bilancio del 2014 (Legge 147 del 2013), che introdusse un sistema di rivalutazione a 4 fasce, valido fino al 2018:

  • 100% dell’aumento per le pensioni fino a 3 volte il minimo;
  • 95% per le pensioni tra 3 e 4 volte il minimo;
  • 75% per quelle tra 4 e 5 volte;
  • 50% per le pensioni superiori a 5 volte il trattamento minimo.

Arriviamo ai giorni nostri, a partire dal governo giallo-verde del Premier Conte

Con il governo Conte I, formato da Lega e Movimento 5 Stelle, si sono introdotte nuove fasce di rivalutazione e una rivalutazione non più progressiva.

Il nuovo schema prevedeva:

  • 100% per le pensioni fino a 3 volte il minimo;
  • 97% per le pensioni tra 3 e 4 volte;
  • 77% per le pensioni tra 4 e 5 volte;
  • 52% per le pensioni tra 5 e 6 volte;
  • 47% per le pensioni tra 6 e 8 volte;
  • 45% per le pensioni tra 8 e 9 volte;
  • 40% per le pensioni superiori a 9 volte il minimo.

Nel 2022 si fece un passo indietro con la Legge di Stabilità, reintroducendo la rivalutazione progressiva con un meccanismo simile al precedente.

Il governo Meloni e la sua rivalutazione delle pensioni, ecco come è cambiata in due anni

Nel 2023, con la Legge di Bilancio del governo Meloni, si tornò a un sistema di fasce non progressive, con un’impostazione più penalizzante:

  • 100% per le pensioni fino a 4 volte il minimo;
  • 85% per le pensioni tra 4 e 5 volte;
  • 53% per le pensioni tra 5 e 6 volte;
  • 47% per le pensioni tra 6 e 8 volte;
  • 37% per le pensioni tra 8 e 10 volte;
  • 32% per le pensioni superiori a 10 volte il minimo.

Per il 2024, lo schema rimane invariato, con un ulteriore taglio per le pensioni superiori a 10 volte il minimo, la cui rivalutazione passa dal 32% al 22%.

Il 2025 cosa succede per la perequazione delle pensioni?

Come accennato, non è raro che il sistema di perequazione finisca davanti alla Corte Costituzionale, come potrebbe accadere anche per il meccanismo adottato nel 2024. Un ricorso di un pensionato pubblico ha sollevato dubbi sulla costituzionalità della norma, ritenuta penalizzante per chi percepisce pensioni elevate.

Il governo sta valutando due ipotesi per il 2025: proseguire con lo schema attuale, penalizzando progressivamente le pensioni più alte, o tornare al meccanismo del 2022, che garantiva una rivalutazione piena fino a 4 volte il minimo, con tagli minori per le fasce superiori.

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

5 Comments

  1. Sono sconcertato…….3 volte il minimo …..cinque volte il minimo quando il minimo parla di 614 euro mensili …!!!! Se 614 euro mensili lordi fossero sufficienti a vivere per una famigliola di 3 persone e con casa propria e una normalissima vita di relazione e partecipazione sociale si potrebbero accettare paragoni e proposte per ridurre dei diritti di recupero sulla svalutazione del denaro altrimenti ….. il gioco non vale la candela credetemi tutto fa solamente ridere anzi fa piangere!

  2. Rispondo ad Armando, contributi versati x44 anni, siccome supero 5 volte il minimo, rivalutazione al 53 %, x dare soldi a gente che non ha versato nulla o quasi, ti sembra giusto?

  3. In effetti il governo Meloni, rivalutando per intero, in qualche caso anche oltre il tasso di inflazione, le pensioni di basso importo e penalizzando le pensioni di importo più elevato, premia chi ha versato pochi contributi e o ha evaso la dovuta contribuzione previdenziale e penalizza chi ha versato maggiori contributi e ha ottemperato diligentemente agli obblighi previdenziali! A margine il governo Meloni penalizza gran parte dei suoi elettori, che non dimenticano, e premia i finti poveri, che votano e continueranno a votare la diversa parte politica!

  4. Ma non tutti sono finti poveri,quindi secondo me è giusto,togliere 50 euro su 3000 e darli a chi invece stenta per sempre

  5. Parlano di chi ha versato poco o non ha potuto versare
    . Quando ci sono pensioni da 90mila euro al mese oppure di gente che di pensioni ne prende tre..fate veramente schifo

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