L’inflazione impatterà anche l’anno prossimo in misura pesante sulla spesa previdenziale. Nella legge di Bilancio 2024 si legge che il costo per l’aumento delle pensioni è stimato in 14 miliardi di euro. Siamo a quasi una decina in meno rispetto a quest’anno, ma i conti per l’Inps non quadrano ugualmente. Come sappiamo, infatti, ad ogni mese di gennaio gli assegni devono essere ricalcolati in base al tasso d’inflazione stimato per l’anno precedente. Nel 2022, ad esempio, i prezzi al consumo crebbero dell’8,1% e il Ministero di economia e finanze fissò un adeguamento provvisorio del 7,3%, tant’è che a novembre dovrà corrispondere il conguaglio, vale a dire la differenza dello 0,8%.
Per quanto riguarda l’anno prossimo, l’aumento delle pensioni è stato provvisoriamente fissato al 5,4%, sebbene non per tutte le fasce di reddito, come vedremo. Tenete in considerazione che al 30 settembre l’inflazione acquisita è stata del 5,7%. In assenza di variazioni mensili fino a dicembre, quindi, ai pensionati spetterà anche tra fine 2024 e inizio 2025 il conguaglio per la differenza rilevata.
Novità positive per pensioni tra 4-5 volte la minima
Tornando all’entità dell’aumento delle pensioni, il governo ha fatto sapere che resta confermato il recupero del 100% dell’inflazione per gli assegni fino a 4 volte il trattamento minimo. La novità riguarderà gli assegni compresi tra 4 e 5 volte il minimo: la loro indicizzazione salirà dall’85% di quest’anno al 90%. A proposito di trattamento minimo, esso salirà da 600 a 618 euro al mese da gennaio per chi ha compiuto almeno 75 anni di età, oltre alla rivalutazione legata all’inflazione. Per tutti gli altri, il riferimento resta quello dei 567,94 euro di quest’anno. Un importo destinato a portarsi a ridosso dei 600 euro con l’indicizzazione.
Tuttavia, sembra che l’aumento delle pensioni sarà meno generoso per la fascia più alta dei beneficiari, coloro che incassano un assegno superiore alle 10 volte il trattamento minimo, cioè sopra circa 5.680 euro al mese dall’anno prossimo.
Aumento pensioni quasi azzerato per assegni alti
Il governo punta a difendere il potere di acquisto delle fasce della popolazione con reddito medio-bassi. Tra l’altro non si esclude – ma l’ipotesi non sembra per il momento trovare conferma negli ambienti della maggioranza – il ripristino del contributo di solidarietà sugli assegni più alti. La legge 145 del 2018 lo aveva fissato tra il 15% e il 40% per gli assegni sopra 100.000 euro e fino al 2023, sebbene la Corte Costituzionale lo abbia limitato fino al 2021. Si applicava alla sola parte liquidata con il metodo retributivo, escluse le pensioni di invalidità, ai superstiti e alle vittime del dovere.
Insomma, il capitolo pensioni resta un cantiere aperto. Non può essere altrimenti per una voce di spesa che vale ormai il 16% del PIL. I risparmi attesi nel complesso delle misure previdenziali per il 2024 sono stati stimati dal governo in 2,7 miliardi. Tra l’altro, Quota 103 si trasforma in Quota 104: i lavoratori potranno andare in quiescenza prima dei 67 anni solo con 63 anni di età e almeno 41 di contributi. E’ stata altresì estesa la platea per accedere a Opzione Donna e Ape Social, così come potranno lasciare il lavoro coloro che maturano l’assegno interamente con il metodo contributivo e per un importo anche superiore a 1,5 volte il trattamento minimo.