Sull’aumento della spesa militare l’Europa si sta facendo grosse illusioni

L'Unione Europea parla di aumento della spesa militare, ma sta ignorando l'assenza di un contesto credibile per attuarlo.
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Aumento della spesa militare UE possibile?
Aumento della spesa militare UE possibile? © License Creative Commons

La vittoria di Friedrich Merz in Germania sta rinvigorendo le speranze di chi crede che da qui a breve l’Unione Europea sarà in grado di procedere con il dovuto aumento della spesa militare. Una scelta strategica per allentare la dipendenza dagli Stati Uniti, ora che il presidente Donald Trump rende evidente l’intenzione di non proteggere più il nostro continente a tutti i costi. Due le strade che si batteranno, non necessariamente in alternativa tra loro: esclusione dei maggiori stanziamenti per la difesa dal Patto di stabilità ed emissioni di debito comune (Eurobond).

Merz persegue riarmo tedesco

La premier Giorgia Meloni ha espresso ieri apprezzamento per la prima ipotesi, mentre gli stati del Nord Europa, solitamente recalcitranti rispetto a qualsivoglia mutualizzazione del debito, aprono all’idea di emissioni comuni.

Ora che ad essere minacciata è la loro integrità territoriale, gli Eurobond non puzzano più così tanto. Quando a reclamarli era il Sud Europa per mettere in sicurezza i loro debiti dagli attacchi speculativi, gli fu risposto picche. La storia tira spesso qualche cattivo scherzo e ribalta le parti in commedia quasi a farsene beffa.

L’aumento della spesa militare è diventato un obiettivo esplicito di Merz. Egli propugna 200 miliardi di euro in più per il riarmo tedesco, infrangendo un tabù che in Germania sembrava inossidabile da 80 anni a questa parte. Ma Berlino dispone di margini fiscali per accrescere eventualmente il suo debito, cosa che non si può dire di gran parte dei suoi partner comunitari. La Francia lotta disperatamente per abbassare il deficit dall’oltre il 6% a cui è volato nel 2024.

L’Italia è messa meglio, ma possiede un gigantesco debito pubblico da gestire.

L’idea di escludere l’aumento della spesa militare dal deficit calcolato ai fini del Patto di stabilità può servire ad evitare attriti con la Commissione, non con i mercati. Comunque li si definisca, i debiti sono sempre debiti. Il semplice fatto che Bruxelles non li consideri formalmente in negativo, non implica che vada lo stesso bene per gli investitori. Le emissioni di titoli di stato aumenterebbero, con annessa spesa per interessi a carico dei bilanci statali. E vale quanto detto sopra: gran parte dell’UE non può permetterselo.

Aumento spesa militare apre interrogativi su UE

Neanche gli Eurobond sarebbero una panacea. Spostare passività dai bilanci nazionali al bilancio comunitario rischia di aprire un grosso interrogativo circa la natura dell’UE. Essendo un non stato, sprovvista di entrate autonome e di un Tesoro proprio, il mercato non è detto che ne finanzierebbe per intero le sue passività. Inoltre, l’aumento della spesa militare andrà spiegato bene. Si fantastica di un esercito comune, ma chi lo guiderebbe? Ripetiamo: l’UE non è uno stato e non esiste esercito senza stato. Gli stati nazionali dovrebbero evitare stanziamenti per voci di spesa ridondanti. Serve integrare le forze armate, così da razionalizzare alcuni costi e accrescerne l’efficacia. Di tutto questo non si sta discutendo.

L’aumento della spesa militare a debito rischia di essere più complicato di quanto ci si illuda tra le cancellerie europee. E’ vero che l’America spende molto più di noi per la difesa, ma in presenza di due elementi: un governo federale e il dollaro come valuta di riserva mondiale. Entrambi rendono più credibili i debiti contratti da Washington rispetto a quanto si accingerebbe a fare Bruxelles. E persino il Tesoro americano inizia a testare i limiti della sua politica fiscale espansiva. Per il momento sembra di essere qui più dinnanzi a una reazione emotiva che a un serio convincimento su cosa stiamo andando a fare. Il rischio boomerang è dietro l’angolo.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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