Perché l’aumento dei tassi d’interesse è diventato un grosso mal di testa per le banche centrali

L'aumento dei tassi d'interesse sta generando problemi di natura "tecnica" con implicazioni politiche alle banche centrali.
2 anni fa
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Aumento tassi d'interesse

Al prossimo board la Federal Reserve annuncerà con ogni probabilità il decimo aumento dei tassi d’interesse consecutivo per un altro 0,25%. Il costo del denaro negli Stati Uniti salirebbe così al 5,25%, il valore più alto degli ultimi sedici anni. Dopodiché, la stretta monetaria sarebbe sospesa, anzi cesserà per lasciare spazio nei mesi successi a un sempre più probabile taglio dei tassi. L’impatto che sta avendo la necessaria lotta all’inflazione sul valore degli asset finanziari è evidente a tutti. Negli stessi Stati Uniti sono fallite due banche per effetto delle maxi-perdite accuse sui portafogli d’investimento, mentre una terza è stata salvata dalla discesa in campo di governo, FED e sistema bancario.

Si discute molto di quanto banche e assicurazioni stiano soffrendo a causa dell’aumento dei tassi d’interesse, mentre poco si parla di quanto siano stati colpiti i bilanci delle stesse banche centrali. Sin dal 2008, anno in cui il fallimento di Lehman Brothers scatenò una potente crisi finanziaria mondiale, la FED acquistò titoli di stato americani (T-bond) e obbligazioni coperte da garanzia ipotecaria (MBS) per un controvalore totale, che attualmente si aggira sui 7.770 miliardi di dollari.

Impatto su bilanci banche centrali da aumento tassi d’interesse

L’aumento dei tassi d’interesse ha fatto scendere il valore di mercato di questi bond. Si calcola che, se la FED dovesse rivenderli oggi, accuserebbe una perdita di oltre 1.080 miliardi. Tuttavia, questa risulta essere al momento solo una perdita “virtuale”, dato che questi asset, se portati alla scadenza, non infliggeranno alcuna passività all’istituto. Il punto è che dalla primavera dello scorso anno, la FED aveva iniziato a ridurre il suo portafoglio obbligazionario, principalmente smettendo di reinvestire i proventi alla scadenza e dopodiché rivendendo parte degli asset detenuti. Questa operazione ha fatto scendere il bilancio di 580 miliardi fino a un mese fa, quando la necessità di sostenere la liquidità sui mercati per mettere in sicurezza le banche lo ha fatto risalire di 390 miliardi in un paio di settimane.

Al 5 aprile scorso, fletteva nuovamente di 100 miliardi. Qual è il problema? Se la FED – analogo il discorso per le altre banche centrali – rivendesse i suoi bond ai prezzi di mercato, sarebbe costretta a registrare le perdite, che da virtuali diverrebbero reali. Già oggi, poi, il portafoglio obbligazionario le garantisce un rendimento medio inferiore ai tassi d’interesse corrisposti alle riserve delle banche commerciali. Pur incidendo per un importo limitato, trattasi anche in questo caso di una perdita.

Nel 2021, la FED aveva maturato un profitto di 108 miliardi grazie alla differenza positiva tra interessi attivi incassati e interessi passivi pagati. Questo utile era stato trasferito al Tesoro americano, a tutto beneficio dei contribuenti. Adesso, non solo non c’è più alcun profitto da trasferire, ma la FED è in perdita. E le passività vanno a finire alla voce “deferred assets”. Finché esse non saranno state interamente coperte da utili futuri, il Tesoro resterà a bocca asciutta. Nulla di così micidiale in apparenza. Basti pensare alla Banca Nazionale Svizzera, che negli anni passati ha finanziato i cantoni e il governo confederale a piene mani e nel 2022 ha chiuso in bilancio in profondo rosso.

Reputazione merce preziosa da salvaguardare

Una banca centrale può andare in perdita, anzi può persino veder scendere il suo patrimonio netto sottozero. Parole di Christine Lagarde, governatore della Banca Centrale Europea. Il funzionamento le sarebbe garantito dalle proprie stamperie di moneta. Facile, no? Se non ho il denaro che mi serve per continuare ad operare, me lo stampo. Ma le cose troppo semplici sono anche le più pericolose o inesistenti. Una banca centrale che funzionasse in tal modo, avrebbe qualche grosso problema di reputazione. Ad un certo punto, il mercato dubiterebbe della forza della moneta che essa stampa.

Anche le perdite prolungate possono portare alla stessa conclusione. Se una banca centrale è strapiena di attività deprezzate, siamo sicuri che la sua moneta meriti di essere acquistata?

Più l’aumento dei tassi d’interesse dura e più lunga l’agonia virtuale dei bilanci. L’ideale, da questo punto di vista, sarebbe che l’inflazione scendesse rapidamente, la stretta monetaria globale cessasse e così risalisse il valore degli asset finanziari. Il “buco” nei bilanci delle banche centrali si restringerebbe fino ad annullarsi o almeno a contrarsi entro i livelli di guardia. Con le tensioni tra Occidente e blocco sino-russo, aspetti che sembravano marginali fino a poco tempo fa, adesso non lo sono più. FED, BCE e Banca d’Inghilterra, per restare tra le grandi di Nord America ed Europa, neppure pensavano di dover rispondere a chicchessia circa la propria reputazione. In un mondo sempre più multipolare, la supponenza è diventato un lusso poco sostenibile. Basterebbe poco per spingere flussi di capitali tra le braccia del nemico.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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