La terra dei canguri non smette di sorprendere in positivo. Ha già superato ogni record, essendosi lasciata alle spalle l’ultima recessione nel lontano 1991, quando ancora esisteva l’Unione Sovietica, la Germania si era da poco riunificata e negli USA vi era come presidente George H.W. Bush. In Italia, per intenderci, viveva i suoi ultimi respiri la Prima Repubblica di Giulio Andreotti e Bettino Craxi. Insomma, un’altra era, attraversata dall’Australia senza subire mai alcuna crisi, nemmeno quella terribile e di tenore globale, che colpì praticamente tutte le economie avanzate (e non solo) nel 2008 con lo scoppio della bolla del credito negli USA.
Economia australiana cresce senza sosta dai tempi dell’Urss
Se queste stime fossero confermate, ci troveremmo dinnanzi a un’economia che nel 2020 compirebbe 29 anni senza essere mai entrata in crisi. Ma come si spiega tutto ciò? Ed esistono rischi incombenti? Partiamo da un dato: la crescita robusta del pil nel primo trimestre non trova uguale intensità per quella pro-capite, fermatasi all’1,5%. Trattasi di percentuale di tutto riguardo, specie per un’economia avanzata, ma certamente molto meno impressionante del dato generale. Quell’1,6% in meno è dato dalla crescita della popolazione. In effetti, la crescita del pil australiano si spiega anche e, soprattutto, con il boom demografico. Non stiamo parlando di nascite, bensì di immigrati. Tra il 2007 e il 2016, i permessi di soggiorno temporanei rilasciati dalle autorità nazionali sono raddoppiati a 663.000 unità, pari al 2,7% della popolazione.
Più immigrati, più pil
L’Australia sta facendo affluire un numero crescente di immigrati, caratterizzati da alta preparazione scolastica e che entrano nello sterminato paese per lavorare, alzando il tasso di occupazione. Lo segnalano i dati: a fronte di una percentuale generale di partecipazione al lavoro del 65%, tra gli immigrati le cifre si elevano tra il 70% e il 75%. Questo significa sostanzialmente una cosa: un immigrato aiuta a trainare il pil. Non solo, perché la maggiore offerta di lavoro sta contenendo la crescita salariale, praticamente ancora intorno al 2%, percentuale praticamente dimezzata rispetto al periodo precedente alla crisi finanziaria mondiale, nonostante il tasso di disoccupazione a giugno risulti stabile al 5,4%. Ne consegue che l’inflazione non si surriscalda, fermandosi all’1,9% e consentendo alla banca centrale di tenere i tassi ai minimi storici dell’1,5%. Tuttavia, se si guarda alla crescita del pil pro-capite, si scopre che essa risulta dimezzata e intorno mediamente all’1% rispetto al periodo precedente al 2007-’08. Come dire che una cosa sono le statistiche, un’altra la vita reale delle persone, per quanto non vi sia dubbio che l’economia domestica si mostri dinamica.
Questo quadro abbastanza positivo dell’economia australiana non esclude la presenza di rischi. Uno è costituito dai venti protezionistici che soffiano dagli USA e che stanno colpendo, in particolare, la Cina. L’import-export con la seconda economia mondiale ammonta al 45% del pil in Australia, per cui risulta essenziale per il paese evitare di restare vittima di una guerra commerciale. E un altro problema potrebbe insorgere con l’eventuale scoppio della bolla immobiliare. I prezzi delle case hanno corso parecchio negli ultimi anni: tra il primo trimestre del 2015 e il primo trimestre di quest’anno, hanno segnato un incremento del 22,4%, pari al 6,9% medio all’anno.
Prezzi case alle stelle, famiglie indebitate: l’Australia è in bolla immobiliare