Autocertificazione extracomunitari: arrivia la parità di trattamento

Una recente sentenza del Tribunale di Brescia permette agli extracomunitari di autocertificare i redditi prodotti all'estero.
9 anni fa
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In un comunicato stampa odierno l’ADUC pone l’accento sulla recente sentenza del Tribunale di Brescia che permette di compiere un ulteriore passo verso la parità di trattamento tra cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari, permetterndo a questi ultimi l’autocertificazione dei redditi prodotti all’estero. Riportiamo per intero il comunicato stampa dell’Aduc Firenze, 18 Marzo 2016. Il Tribunale di Brescia, Dott.ssa Silvia Mossi, con sentenza n. 167/2016 dello scorso 4 febbraio, ha fatto un passo da gigante verso la parità di trattamento fra cittadini italiani e comunitari e gli stranieri extracomunitari.

E’ bastato al Tribunale, far corretta applicazione delle fonti del diritto, e dichiarare la supremazia della legge (fonte primaria) sulle fonti regolamentari secondarie. Queste ultime illegittime perché contrarie alle prime, sono state disapplicate, per stabilire che lo straniero può autocertificare, fra le altre cose, anche in merito ai propri redditi prodotti – o non prodotti – all’estero. Si tratta di una vittoria importante per gli stranieri extracomunitari. Le certificazioni provenienti dai propri Paesi di appartenenza, richieste dalla P.A., spesso sono difficili da ottenere, molto onerose e ritardano ed ostacolano pesantemente i diritti concreti dei richiedenti. Il caso trattato è relativo all’attribuzione dell’assegno sociale da parte dell’ Inps ad una cittadina extracomunitaria titolare del Permesso CE per Soggiornanti di Lungo Periodo, che si era vista negare il beneficio richiesto, avendo la stessa autocertificato i propri redditi effettuati all’estero, ma non anche prodotto le relative certificazioni ed attestazioni dell’Autorità straniera preposta. L’Inps si è difesa sulla base di norme secondarie che tutt’oggi permangono nell’ordinamento e violano i principi di parità di trattamento imposte dalla legge (nazionale e comunitaria). In sintesi, vediamo quali. Il principio di parità di trattamento nelle norme di legge nazionali e comunitarie. 1) L’art. 2 comma 5 del T.U. Immigrazione (D.lgs 286/98) recita: “Allo straniero è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti dalla legge.
” L’assegno sociale richiesto all’Inps, al pari di ogni altro beneficio o prestazione agevolata richiesta alla Pubblica Amministrazione (si pensi ad esempio alla richiesta di ammissione al beneficio del Gratuito Patrocinio a Spese dello Stato nei giudizi civili, penali ed amministrativi), crea un rapporto fra il richiedente e la P.A. Orbene, in questo rapporto, stranieri e cittadini europei sono – e devono – esser trattati ugualmente, salvo deroghe che possono trovar espressione solo tramite norma di legge (fonte primaria). 2) L’art. 11 della Direttiva 2003/109/CE recita: “Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda… le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale”, recepito dal nostro ordinamento con D.lgs 3/2007 che ha modificato la normativa della ex carta di soggiorno in nuovo Permesso Ce per Soggiornanti di Lungo Periodo ed ha disposto, all’art. 9 comma 12, che: “Oltre a quanto previsto per lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, il titolare del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo può…
c) usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative ad erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale, di quelle relative all’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico, compreso l’accesso alla procedura per l’ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica, salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l’effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale” Le norme ed i regolamenti di rango inferiore che violano il principio di parità di trattamento. 1) L’art. 3 del DPR 445/000 (il Testo Unico sulla Documentazione Amministrativa) recita: “….
2. I cittadini di Stati non appartenenti all’Unione regolarmente soggiornanti in Italia, possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 limitatamente agli stati, alle qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani. 3. Al di fuori dei casi previsti al comma 2, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione autorizzati a soggiornare nel territorio dello Stato possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 nei casi in cui la produzione delle stesse avvenga in applicazione di convenzioni internazionali fra l’Italia ed il Paese di provenienza del dichiarante. 4. Al di fuori dei casi di cui ai commi 2 e 3 gli stati, le qualità personali e i fatti, sono documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall’autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all’originale, dopo aver ammonito l’interessato sulle conseguenze penali della produzione di atti o documenti non veritieri.” L’art. 2 del DPR 394/99 (Regolamento attuativo al T.U. Immigrazione) recita: “(Rapporti con la pubblica amministrazione) 1. I cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui all’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, limitatamente agli stati, fatti e qualità personali certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici o privati italiani, fatte salve le disposizioni del testo unico o del presente regolamento che prevedono l’esibizione o la produzione di specifici documenti. 2. Gli stati, fatti, e qualità personali diversi da quelli indicati nel comma 1, sono documentati (…) mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, legalizzati ai sensi dell’articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 200, dalle autorità consolari italiane e corredati di traduzione in lingua italiana, di cui l’autorità consolare italiana attesta la conformità all’originale. Sono fatte salve le diverse disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia.
L’interessato deve essere informato che la produzione di atti o documenti non veritieri è prevista come reato dalla legge italiana e determina gli effetti di cui all’articolo 4, comma 2, del testo unico…” In poche parole, secondo il Tribunale di Brescia, le norme regolamentari di secondo grado violano i precetti delle norme primarie e pertanto dovranno esser disapplicate. Peraltro, a sostegno della propria decisione, ricorda il Tribunale che, con l’entrata in vigore del Decreto ISEE (Dpcm 159/2013), il Governo non ha differenziato le DSU presentate dai cittadini italiani e comunitari, rispetto a quelle del cittadini stranieri extracomunitari. E se è vero che una sentenza non fa primavera, è altresì vero che i principi di diritto correttamente applicati dovranno trovare una presa d’atto da parte dei nostri Amministratori. Per gli stranieri che dovessero, d’ora innanzi procedere mediante autocertificazioni anche relativamente a situazioni certificabili dalle autorità non italiane, consigliamo di farsi valere con una lettera di messa in mora, intimando, oltre che l’accettazione dell’autocertificazione, anche il risarcimento del danno: http://sosonline.aduc.it/scheda/messa+mora+diffida_8675.php Claudia Moretti, legale Aduc COMUNICATO STAMPA DELL’ADUC Associazione per i diritti degli utenti e consumatori

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