Nelle prime due sole sedute di questa settimana le azioni Mediaset sono salite del 20% tondo a 56,75 centesimi di euro. Un boom in borsa che coincide vistosamente con la morte dell’ex premier e fondatore del gruppo di telecomunicazioni, Silvio Berlusconi. In termini di capitalizzazione, la società vale sul mercato oltre 150 milioni di euro in più. A cos’è dovuta questa impennata, che agli occhi dell’uomo della strada può sembrare persino irrispettoso verso il Cavaliere appena deceduto?
Azioni Mediaset, controllo in mano a Fininvest
Le azioni Mediaset stanno rincarando sulle aspettative che un nutrito gruppo di investitori nutre sul futuro di Cologno Monzese.
Rispondere all’interrogativo ci porta ad esaminare una situazione complessa. Fininvest, la holding della famiglia Berlusconi, detiene il 47,91% delle azioni Mediaset con diritto di voto, a cui si aggiunge il 4,70% di azioni proprie. Di fatto, la società in questo momento non è scalabile, in quanto oltre la metà del capitale è in mano ai figli dell’ex premier. Un altro 22,70% è in mano a Vivendi, il colosso francese delle telecomunicazioni della famiglia Bolloré. Di questo, il 18,68% è posseduto attraverso Simon Fiduciaria.
Gli appetiti di Vivendi
Proprio i francesi appaiono interessati a scalare Mediaset per assumerne il controllo. Ci provarono nel 2016, ma non andò bene. Anzi, quel tentativo ostile fu causa della rottura dell’amicizia tra Vincent Bolloré e Silvio Berlusconi. Ne sorse una causa giudiziaria, che ebbe fine due anni fa grazie ad un accordo pattuito tra le due parti. Vivendi avrebbe venduto nei mesi successivi il 5% delle azioni Mediaset proprio a Fininvest. E negli anni successivi avrebbe venduto ulteriori azioni se il loro prezzo di mercato avesse superato determinate soglie.
D’altro canto, Fininvest non si è avvalsa del diritto di acquistare a determinati prezzi le azioni Mediaset in mano a Vivendi. Ciò alimenta le speculazioni di chi crede che possa essere un segnale di apertura circa una futura cessione dell’azienda. Molto più semplicemente è possibile che la holding non avverta alcun bisogno di incrementare il proprio pacchetto azionario, essendo più che sufficiente per mantenere il controllo stabile.
Eredità Silvio Berlusconi, attesa per lettura del testamento
Ma allora perché le azioni Mediaset s’impennano? Sappiamo che il Cavaliere per anni cercò un accordo con i figli per la spartizione della ricca eredità. Le sue volontà testamentarie restano un mistero. Una delle ipotesi sarebbe che abbia lasciato le quote di ciascuna azienda di famiglia suddivise in parti uguali tra i cinque figli. Tuttavia, il de cuius volle sempre evitare una tale soluzione. Infatti, i figli erano nati da due matrimoni diversi: Marina e Piersilvio sono di primo letto, mentre Barbara, Eleonora e Luigi di secondo letto. Non è un mistero che le vedute dei primi due siano state a tratti divergenti da quelle degli altre su questioni cruciali come le posizioni politiche del padre e il destino di Mediaset.
Da anni coinvolti direttamente nella gestione dell’impero mediatico, Marina e Piersilvio sarebbero più restii a cedere Cologno Monzese. Gli altri fratelli si mostrerebbero meno rigidi sul punto. Il Cavaliere voleva distribuire le quote in Mediaset per il 50% ai primi due figli e per l’altro 50% ai restanti tre. Una soluzione che eviterebbe teoricamente il prevalere di una posizione sull’altra. Vedremo quale sia stato il suo volere ultimo. Se il controllo di Mediaset fosse stato lasciato a Marina e Piersilvio, più difficile una vendita.
Golden Power in mano a Giorgia Meloni
La situazione non sarebbe ugualmente così facile come pensiamo. Il governo detiene il “golden power“ per i casi di cessione ad investitori di asset ritenuti di rilevanza strategica nazionale. E le società attive sul mercato delle telecomunicazioni rientrano nella casistica, tant’è che persino il governo Gentiloni nel 2017 fece scattare la protezione dalla scalata di Vivendi. Ammesso che i figli volessero vendere Mediaset ai francesi, avrebbero bisogno dell’avallo dello stato italiano. Domanda: il governo Meloni lo concederebbe?
In linea di principio, no. In primis, perché i rapporti con il governo di Francia sono ai minimi termini in questa fase. E secondariamente, il centro-destra ha avuto negli ultimi trenta anni in Mediaset un punto di riferimento nel mondo massmediatico. Senza, rischierebbe di non combattere più ad armi pari con gli avversari, i quali godono di maggiore sostegno nel variegato mondo dell’informazione. Tuttavia, la questione s’intreccia al caso TIM. Vivendi possiede anche il 23,75% della compagnia. E la sua resistenza sta impedendo la cessione della rete (NetCo) a Open Fiber, la società controllata da Cassa depositi e prestiti al 60%, cioè dallo stato.
Il governo Meloni, così come il predecessore, punta a fondere NetCo con Open Fiber per dare vita a un operatore unico della fibra ottica. Solo così potrebbe avviare gli investimenti necessari per ridurre e finanche azzerare il “digital divide” tra piccoli Comuni e grandi città, tra Nord e Sud del Bel Paese. Se Vivendi si prendesse Mediaset, dovrebbe rinunciare a TIM. Ciò consentirebbe al governo di sbrogliare la matassa attorno all’ex monopolista telefonico. Ma questo successo varrebbe la cessione di un operatore televisivo così importante, anche sul piano politico, a un investitore straniero dalle posizioni ignote e incontrollabili?
Azioni Mediaset, boom in borsa poco solido
Come potete capire, il boom in borsa delle azioni Mediaset starebbe avvenendo in virtù di riflessioni un po’ sbrigative.
Certo, non esistono solo i francesi a poter acquistare. Da prima che morisse Silvio Berlusconi, si erano diffuse voci, poi smentite dal diretto interessato, circa l’intenzione di Urbano Cairo di rilevare il controllo di Mediaset. L’attuale patron del Gruppo RCS e che controlla La7, potrebbe guidare una cordata nazionale per comprare la quota di circa il 50% in mano a Fininvest. Servirebbero ad occhio e croce non meno di 500 milioni di euro. Sarebbe più difficile l’esercizio del golden power da parte del governo italiano in questo caso. La difesa dell’interesse nazionale risulterebbe più facile da eccepire per la vendita ad un soggetto straniero, molto meno a un altro italiano. Se vendita sarà, passerà quasi certamente per un accordo tra le due donne forti di questo quadro: Marina Berlusconi da una parte e la premier Giorgia Meloni dall’altra. E in gioco non ci sarebbero esclusivamente interessi di natura finanziaria.