Baby pensioni, una vergogna nazionale nel nome dell’antifascismo

Baby pensioni vergogna nazionale per la quale nessuno tra partiti e sindacati ha mai chiesto scusa e si è assunto le responsabilità.
6 mesi fa
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La vergogna delle baby pensioni
La vergogna delle baby pensioni © Licenza Creative Commons

Previdenza sempre al centro delle attenzioni e delle preoccupazioni del governo, che dovrà inventarsi qualcosa per ottemperare alla promessa elettorale di fornire maggiore flessibilità in uscita ai lavoratori. I conti non tornano. Con Quota 41 per tutti servirebbero diversi miliardi all’anno, per cui l’opzione che prevale sarebbe di accompagnare la misura con il ricalcolo dell’assegno interamente contributivo. La materia è scottante: da una parte i diritti delle persone a godere dei propri contributi versati all’Inps ad un’età non troppo in avanti, dall’altra le ragioni dei conti pubblici.

Ricordiamocene quando sentiamo parlare di “baby pensioni”, una delle grandi vergogne nazionali per cui nessuno ha mai sentito il dovere di chiedere scusa, nonostante siano passati più di cinquanta anni dalla misura tanto sciagurata.

Baby pensioni nel nome dell’antifascismo

Siamo nel 1973 e a Palazzo Chigi entra Mariano Rumor, uomo della Democrazia Cristiana, a capo di un governo sostenuto anche da Partito Socialista, PSDI e PRI. Al Ministero per il Lavoro e la Previdenza Sociale è nominato Luigi Bertoldi, artefice della sciagura di cui stiamo discutendo. Il governo di centro-sinistra nasce nel nome dell’“anti-fascismo”, che a sinistra è agitato sempre come un vessillo quando si tratta di celare operazioni di puro potere, ammantandole di ragioni ideali. Spinge su questa linea il PSI, che non è ancora quel partito riformista che sarà dopo qualche anno sotto la nuova segreteria di Bettino Craxi.

DC e PSI cercano di massimizzare i rispettivi consensi elettorali con una misura sciagurata: mandare in pensione le dipendenti pubbliche con figli se in possesso di appena 14 anni, sei mesi e 1 giorno di contributi. Per gli uomini serviranno 5 anni in più. E così, migliaia di persone riuscirono a lasciare il lavoro ad un età impensabile oggi come oggi. Cronache degli anni seguenti daranno notizia di uscite persino a 32 anni.

I beneficiari saranno complessivamente 256 mila per una spesa complessiva di 130 miliardi. In media, l’Inps ha calcolato che l’età media di decorrenza per le baby pensioni sia stata di 42 anni per le donne e 45 per gli uomini.

Tentativo di abolizione del governo Craxi

Lo scorso anno, l’ente di previdenza risultava erogare ancora 185 mila assegni di questo tipo, a persone che lo incassavano in media da 36 anni nel caso delle donne, 35 degli uomini. La spesa era stimata in 2,9 miliardi. L’uscita dal lavoro per i dipendenti pubblici con le baby pensioni è stata possibile fino all’abolizione della legge nel 1992. Già negli anni Ottanta il governo Craxi aveva cercato di porvi rimedio con l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne, nonché istituendo un minimo di contribuzione pari a 35 anni per il pensionamento anticipato. La riforma non fece in tempo ad essere approvata per lo scioglimento delle Camere nel 1987.

Assegni elevati con metodo retributivo

Il problema delle baby pensioni è più scandaloso di quanto si pensi. In media, i lavoratori hanno potuto beneficiare di un assegno per un periodo tre volte a quello di contribuzione. E il metodo di calcolo è stato più generoso di quello attuale e, soprattutto, futuro. Con il retributivo gli assegni furono legati alle retribuzioni degli ultimi anni di carriera, mentre con il contributivo esiste un’esatta corrispondenza tra assegno e contributi versati. I dipendenti pubblici versarono quattro lire per pochi anni e si ritrovarono a percepire assegni relativamente generosi. In media, furono di 1.187 euro al mese lo scorso anno. Pensate che tra gli anni di lavoro considerati vi erano anche i periodi figurativi, ad esempio legati alla maternità.

Perché le baby pensioni? Senza giraci attorno, si trattò di puro clientelismo politico. Ditelo a chi sostiene che nella Prima Repubblica vi fossero solo statisti.

Qui, fummo in presenza di politici dalla visione corta, incuranti delle conseguenze e a caccia di facile consenso tra i lavoratori di una specifica categoria. I sindacati non mossero un dito per chiedere equità di trattamento con i lavoratori del settore privato. Il dissesto dei conti pubblici avvenne con il benestare di tutti. E quei partiti non hanno mai chiesto scusa. Anzi, sono spesso gli eredi di quegli “statisti” a propinarci oggi le ricette per risanare il bilancio dello stato.

Baby pensioni figlie di politica sciagurata

Al tempo dell’invenzione delle baby pensioni vi erano 3,5 lavoratori per ogni pensionato. Oggi, siamo a un rapporto di 1,4. A causa della denatalità, rischiamo di tendere a un rapporto 1:1 entro il 2050. Qualcuno dirà che l’iniziativa legislativa fu, in un certo senso, giustificata dalla sua sostenibilità. Ma come può un governo guardare all’oggi senza preoccuparsi di quanto accadrà nei decenni futuri? E sappiamo che un privilegio, una volta introdotto, è difficile da rimuovere. Ecco cosa fu l’antifascismo per allocchi del centro-sinistra vicino ai ceti popolari. A proposito, quel governo Rumor durò appena otto mesi, travolto da un gigantesco scandalo di corruzione sui petroli. Fece solo in tempo a fare danni.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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