La banca centrale trascina la Libia negli abissi del caos, cosa succede e perché il rischio sbarchi cresce

Banca centrale al centro di nuove e forti tensioni in Libia. La crisi rischia di tracimare nel caos e alimentare una nuova ondata di sbarchi.
3 giorni fa
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Banca centrale e caos in Libia
Banca centrale e caos in Libia © Licenza Creative Commons

Da costa a costa la Libia dista dalla Sicilia, estrema frontiera meridionale dell’Italia nel Mediterraneo, meno di quanto sia distanza la Capitale dall’isola. E ancora una volta da quel pezzo d’Africa martoriato da guerre tribali e giochi geopolitici arriva una cattiva notizia: Tripoli è nel caos. Un problema anche per il nostro Paese, dato che il rischio di sbarchi nei prossimi mesi può intensificarsi, indipendentemente dalle condizioni meteo.

Guerra tra bande in Libia

Proprio ieri a Roma si è tenuto il “Lybia Energy and Economic Summit” nel disinteresse generale. I media non ne hanno quasi parlato, perché fa più chic probabilmente concentrarsi sulle note tensioni in Medio Oriente o tra quelle russo-ucraine degli ultimi anni. Il punto è che se non ci occuperemo di Libia, prestissimo sarà la Libia che si occuperà di noi.

I fatti in buona parte sono noti. Con la destituzione del rais Muhammar Gheddafi nel 2011, questo stato nordafricano è semplicemente collassato. A parte il vecchio dittatore, non aveva motivi e personalità che lo tenessero unito.

Per farvela breve, oggi la Libia è suddivisa in due parti: il nord-ovest, dove si trovano le città di Tripoli e Misurata, è controllato dal premier Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh e dalla sua famiglia. Il resto del territorio, cioè la stragrande parte, è in mano al generale Khalifa Haftar e del figlio. Le Nazioni Unite riconoscono il governo di Dbeibeh, sostenuto militarmente dalla Turchia. Invece, la Russia sostiene Haftar in funzione anti-occidentale.

Nuovo governatore centrale non riconosciuto all’estero

Inutile dire che nessuna delle due parti stia amministrando i rispettivi territori nell’interesse della popolazione. Fin qui, nulla di sorprendente. Ma a settembre è accaduto qualcosa di nuovo. Dbeibeh ha esautorato il governatore della banca centrale in carica sin dal 2011, Saddik al-Kabir, adducendo che egli avrebbe operato a sostegno delle milizie di Haftar.

Lo ha rimpiazzato con un governatore fiduciario ad interim di nome Abdel Fattah Ghaffar. A lui il compito di battere moneta, il dinaro libico, nonché di gestire le riserve valutarie. Queste ammontavano a 82 miliardi di dollari a fine 2023.

Tuttavia, all’estero la nomina di Ghaffar non è stata presa bene. Va bene che siamo in Libia, ma il premier non avrebbe rispettato le ordinarie procedure, ragione per cui la firma del nuovo governatore non è riconosciuta oltre confine. Gli Stati Uniti hanno minacciato sanzioni contro Tripoli simili a quelle comminate alla Russia di Vladimir Putin: blocco delle esportazioni di petrolio ed espulsione dallo Swift. Per chi non lo sapesse, quest’ultimo è il più potente e diffuso sistema di regolazione delle transazioni internazionali. Esserne fuori equivale in buona sostanza a non poter più effettuare e ricevere pagamenti in dollari.

Riserve bloccate, rischio sbarchi cresce

Badate bene, ufficialmente la Libia non è stata ancora sanzionata, ma gli stati dell’Occidente si comportano come se lo fosse. E’ fuori dallo Swift e le esportazioni di greggio sono già in forte calo. Tra l’altro, i tre quarti delle riserve sono “fisicamente” depositati all’estero, cioè presso i forzieri della Federal Reserve, Citibank e le stanze di compensazione europee Clearstream ed Euroclear.

E indovinate un po’: sono state bloccate! Di fatto, la Libia è ormai senza liquidità e senza poter fare affidamento sull’unica risorsa preziosa per l’economia nazionale. Le esportazioni petrolifere valevano lo scorso anno intorno al 40% del Pil. Erano attese in crescita a 25 miliardi di dollari per quest’anno, ma prima che scoppiasse il caso banca centrale.

C’è il rischio che il dinaro acceleri il collasso sul mercato nero. Il suo tasso di cambio ufficiale è ancora di 4,75 contro il dollaro, ma di fatto gli scambi per strada si aggiravano ieri a 7,86. Perso l’accesso ai dollari, c’è da scommettere che il dinaro si deprezzerà e ciò innescherà una spirale inflattiva pericolosissima per la popolazione. Se il costo della vita esploderà e non ci saranno dollari a sufficienza per importare beni di prima necessità, aspettiamoci che gli sbarchi tornino a intensificarsi sulle coste siciliane.

Dalla Libia possibili contraccolpi anche economici

Per quanto grave, il caso non è di quelli che non possano risolversi con la mediazione di una potenza straniera potente. Gli Stati Uniti sono assorti dalle elezioni presidenziali di novembre, mentre l’Unione Europea di geopolitica non ha mai capito un fico secco e si comporta come se vivesse all’infuori del pianeta Terra. Tra l’altro il contraccolpo dalla Libia può essere anche economico per noi. Da qui arrivano 1 milione di barili al giorno, che equivalgono a circa l’1% dell’offerta globale. Sembra una cifra irrisoria, ma tra tensioni in Medio Oriente e con la Russia e l’auto-restrizione delle estrazioni Opec, può contribuire ad infiammare nuovamente il mercato quando l’inflazione sembra quasi domata.

Altro che pilota automatico per il taglio dei tassi!

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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