Le banche centrali sono riuscite anche stavolta a provocare una crisi

Non esiste più da decenni crisi dell'economia che non affondi le sue radici nella condotta spregiudicata delle banche centrali. Anche stavolta.
1 anno fa
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Banche centrali e tassi di interesse
Banche centrali e tassi di interesse © Licenza Creative Commons

Chissà che un giorno l’Intelligenza Artificiale non riuscirà a rimpiazzare l’operato dei governatori delle banche centrali! Tra tutti i lavori che rischiano di scomparire a causa del progresso tecnologico, questo sarebbe forse il principale beneficio di cui godrebbe l’umanità. C’era un tempo in cui il denaro circolava tra gli uomini perlopiù in forma di monete d’oro. Il mezzo di pagamento aveva un valore intrinseco, sebbene il signoraggio consentisse al sovrano di lucrare coniandole con una quantità di metallo inferiore al valore nominale indicato.

Banche centrali onnipotenti dopo Bretton Woods

Ma fu la tecnologia a rendere possibile la nascita delle attuali banche centrali. La stampa di moneta cartacea difficilmente imitabile poteva avvenire in grandi quantità. Il rapporto con l’oro e l’argento si allentò progressivamente, venendo del tutto meno con la fine di Bretton Woods nel 1971. Da lì in avanti, l’onnipotenza dei governatori divenne incontenibile. E le crisi cicliche a cui assistiamo almeno nell’ultimo mezzo secolo, si devono essenzialmente al loro cattivo operato.

Le banche centrali avrebbero un compito teoricamente semplice. Esse devono fornire al mercato tutto il denaro necessario per consentire lo scambio di merci e servizi. Il loro lavoro sarebbe “neutrale”. Non dovrebbero stampare più o meno moneta di quanta ne occorra. Per calibrarne le quantità devono fare leva sui tassi di interesse. Se li alzano, la domanda di moneta si riduce; se li abbassano, aumenta. Il loro obiettivo consiste nel mantenere la stabilità dei prezzi al consumo. Quando questi iniziano ad accelerare, le banche centrali dovrebbero alzare i tassi per “raffreddare” la domanda di moneta. Viceversa, quando si contraggono.

Per evitare interferenze indebite dei governi nella loro attività, da almeno una quarantina di anni a questa parte le principali banche centrali godono di indipendenza operativa assegnata loro dai rispettivi statuti.

La logica è irreprensibile: esse devono essere nelle condizioni di combattere l’inflazione non appena questa si manifesti sopra certi valori di riferimento. E difficilmente i governi si mostrano felici di un’economia rallentata a colpi di aumenti dei tassi di interesse. Grazie a questa indipendenza, l’inflazione nel mondo avanzato è rimasta molto bassa negli ultimi decenni.

Da inflazione a recessione

Tuttavia, le banche centrali ne hanno approfittato per espandere i loro poteri e hanno apertamente contravvenuto al mandato loro conferito. Che si tratti del carovita seguito a pandemia e guerra, allo scoppio della bolla immobiliare nel 2008 e prima ancora di quella dot-com a inizio millennio, in ogni occasione hanno dimostrato di non sapere o volere svolgere con diligenza il loro lavoro. Tipicamente, esse si mostrano refrattarie ad aumentare i tassi per contrastare l’ascesa dell’inflazione. Quando il problema della stabilità dei prezzi inizia a farsi serio, sterzano a 180 gradi e adottano una politica monetaria che si rivela essere più restrittiva di quanto non sarebbe stata necessaria con un intervento immediato.

In altre parole, le banche centrali negano la realtà fintantoché l’alta inflazione non inizi a provocare danni seri all’economia. Dopodiché, diventano iper-sensibili al problema e sono costrette a portare l’economia in recessione per rimediare all’errore di poco prima. E’ accaduto anche stavolta. Fino a tutta la prima metà del 2022, l’inflazione fu definita “transitoria” dalle principali banche centrali. Quando gli indici dei prezzi segnalarono tassi di crescita tendenziali del 5-6% e poi del 7-8%, i toni cambiarono bruscamente. L’aumento dei tassi di interesse, della cui necessità si negava fino a poche settimane prima, improvvisamente diventò fondamentale.

Intervento tardivo contro inflazione

La Banca Centrale Europea iniziava ad aumentare i tassi nel luglio del 2022, quando l’inflazione nell’Eurozona sfiorava già il 9%. Fino ad allora, il costo del denaro era nullo e sui depositi bancari del -0,50%.

Una follia monetaria inesistente nel resto del mondo a questi livelli. Francoforte aveva consentito per anni l’attecchimento di un mercato obbligazionario con rendimenti negativi fino alle lunghissime scadenze. Per anni erano stati i creditori a pagare i debitori. Il sovvertimento delle regole del mercato, anzi del buon senso, distruggeva risparmi, alimentava i debiti e teneva a galla realtà finanziarie decotte.

Adesso, i tassi di interesse sono saliti al 4,25% nell’Eurozona. Mai nell’era euro vi era stata una stretta così rapida. Il punto è che l’economia sta dirigendosi verso la recessione. Lo hanno confermato ieri i dati sul PMI composito e dei servizi nell’area. Anche negli Stati Uniti e nel resto d’Europa si teme un “hard landing” dopo anni di stamperie monetarie scriteriate seguite da una vigorosa stretta. Le banche centrali hanno colpito ancora. Anche questa crisi si deve ai deliri di onnipotenza di governatori incapaci di svolgere il compito loro affidato con sobrietà e diligenza.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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