E’ il capitalismo da salotto che non va
In queste settimane, il caso eclatante di quanto stiamo scrivendo lo offrono Unicredit e Intesa-Sanpaolo, che in qualità di soci e creditori, hanno prestato ad Alitalia altri 180 milioni di euro per evitarne il fallimento. Ora, è da otto anni che la compagnia aerea va avanti a colpi di liquidità delle banche italiane, pur chiudendo ogni esercizio in perdita e non intravedendosi alcuna prospettiva industriale seria. E’ mai possibile che i soldi vi siano per questi carrozzoni e manchino per il povero Cristo, che voglia magari farsi finanziare l’acquisto di un macchinario o espandere un capannone? E se Alitalia fallisse un giorno o non fosse in grado di restituire il prestito, le banche creditrici potrebbero tirarsi fuori dalle polemiche, pubblicandone il nome e dichiarandosi non responsabili dell’accaduto? (Leggi anche: Crisi Alitalia, cosa insegna il fallimento dei capitani coraggiosi a MPS)
Il problema dei problemi per le banche italiane, ma non solo, è quel capitalismo relazionale, che fa in modo che il denaro e gli investimenti circolino sempre all’interno di un salotto sempre più ristretto e squattrinato, in cui creditore e debitore sono legati da rapporti di amicizia atavica o da affari opachi, che spesso s’inquadrano in logiche al di sopra di semplici operazioni di mercato.