Sono bastati pochi minuti per salvare Banca Carige. Tanto è durato il Consiglio dei ministri di ieri sera, con il quale il governo Conte ha messo a disposizione dell’istituto ligure la garanzia per le sue future emissioni e per eventuali linee di credito ricevute dalla Banca d’Italia, nonché una ricapitalizzazione precauzionale nel caso servisse. Di fatto, parliamo dell’ottavo salvataggio pubblico in poco più di 3 anni e segue quelli di Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti del novembre 2015 e di Popolare di Vicenza, Veneto Banca e MPS nel corso del 2016-’17.
Banca Carige, salvataggio pubblico di una banca distrutta dalla Vigilanza BCE
Perché una banca va salvata sempre e comunque dal rischio fallimento? Sarebbe infinita la lista di economisti e politici che ci additerebbe il caso Lehman Brothers per farci rendere conto di quali sarebbero altrimenti i pericoli di un mancato salvataggio pubblico. In sintesi, la banca è un’azienda particolare, perché vende un bene in sé unico, ossia il denaro. E lo fa, prendendolo a prestito da altri, non producendolo autonomamente, per cui se chiudesse gli sportelli, si avrebbero due conseguenze estreme: l’economia soffrirebbe per il venir meno del denaro “venduto” dietro interesse sul mercato a imprese e famiglie; i titolari di quel denaro (correntisti, obbligazionisti e altri investitori) non lo riceverebbero più indietro, se non parzialmente.
Banche cruciali per il debito pubblico
Un sistema economico senza banche crollerebbe. Nessuno riceverebbe prestiti, la liquidità si ridurrebbe al lumicino e ve ne sarebbe pochissima anche per fare acquisti ordinari, provocando depressione e deflazione. Vero, nel tempo nascerebbero nuove banche o quelle esistenti colmerebbero il vuoto lasciato dal “credit crunch”, ma intanto l’economia sarebbe morta e, comunque, andando in malora i bilanci di famiglie e imprese, difficile che qualcuno presti loro denaro, anche disponendolo in abbondanza, temendo di non vederselo più restituito.
In soldoni, queste le ragioni del salvataggio pubblico di una banca. Tuttavia, il “bail-in”, pur con le tante imperfezioni con cui fu varato, si poneva l’obiettivo di evitare che questa necessità da tutti riconosciuta di evitare il fallimento di un istituto di credito ricadesse sui contribuenti e incentivasse anche per il futuro comportamenti di azzardo morale dei banchieri. Passano gli anni, cambiano i governi, ma la musica che si suona è sempre la stessa. Le banche sono banche e nessuno osa mettere in discussione che sia giusto salvarle, quali che siano state le cause della crisi.
Non ci sono solo le ragioni sopra citate a giustificare tanto pronto intervento dei governi di turno. A novembre, le banche italiane detenevano nei loro bilanci 388,3 miliardi di euro di titoli di stato nazionali, ossia BTp e BoT, il livello massimo dal maggio del 2017.
Banche italiane colpite dalla crisi dei BTp
Il circolo vizioso che affossa l’Italia
Qualcuno eccepirà che il risultato netto finale di questo gioco sarebbe positivo, se si considera che gli acquisti dei BTp da parte delle banche abbassano i rendimenti sovrani, ossia il costo di rifinanziamento del debito a carico dei contribuenti. E’ una mezza verità. Questa follia di mani che si stringono per aiutarsi a vicenda andrebbe spezzata con la fine dell’aumento dello stock di debito, ossia smettendola di fare deficit, il quale è ampiamente dimostrato proprio dall’esempio italiano che non serva un fico secco alla crescita, specie se la qualità della spesa è notoriamente scadente, finendo per ingrossare gli apparati burocratici già ipertrofici e l’assistenza spesso fine a sé stessa. Lo stato italiano ha bisogno continuo delle banche perché si indebita senza limiti e le banche italiane hanno bisogno dello stato perché subiscono perdite dai crediti deteriorati, frutto di un’economia domestica malata. Anziché pensare solo all’ultimo stadio della crisi, bisognerebbe risalirvi a monte e scopriremmo che famiglie e imprese non riescono a ottemperare ai loro obblighi con le banche per mancanza di lavoro e redditi insufficienti le prime e bassi ricavi e produzione carente le seconde.
Le une e le altre soffrono per un’economia stagnante e i cui livelli di ricchezza restano inferiori a quelli dell’ormai lontano 2007.