Le banche mandano un messaggio al governo: “fatevi i tassi vostri”

Le banche sono finite nel mirino del governo sull'aumento dei profitti a seguito del rialzo dei tassi, ma svelano l'ipocrisia dello stato.
4 settimane fa
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Le banche invitano il governo a non essere ipocrita riguardo ai tassi sui conti correnti
Le banche invitano il governo a non essere ipocrita riguardo ai tassi sui conti correnti © Licenza Creative Commons

Tra banche e governo Meloni è stata evitata la rottura dopo che il secondo ha accantonato l’ipotesi di introdurre una tassa sugli “extra-profitti”, concordando con le prime una sorta di anticipo di cassa sulle Dta. L’incasso atteso, insieme al gettito derivante dalle assicurazioni, è di 3,5 miliardi di euro in due anni. Il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, ha voluto togliersi qualche sassolino dalla scarpa. A suo avviso, il “contributo” a cui le banche saranno chiamate a pagare nei prossimi due anni non graverà sui costi dei conti correnti e dei servizi offerti ai clienti.

Tuttavia, ha chiesto alla politica di smetterla di chiedere che i tassi sui conti correnti aumentino. Ha così reagito ad una misura ventilata nei mesi scorsi, secondo cui per legge sarebbe imposto un determinato tasso minimo.

Su banche ipocrisia politica

Patuelli ha svelato l’ipocrisia di queste affermazioni, notando che lo stato, se volesse, potrebbe alzare i tassi in altro modo. Come? Attraverso i conti correnti postali e le banche da esso controllate. In questo modo, indurrebbe gli altri istituti a seguirne l’esempio per non perdere quote di mercato. L’idea, invece, di fissare un tasso minimo sarebbe incompatibile con il diritto comunitario, in quanto lesivo della concorrenza.

Patuelli contro imposta di bollo

Tra le righe, Patuelli ha fatto capire che la politica fa la gradassa a parole, mentre non interviene là dove potrebbe farlo. Dunque, saremmo dinnanzi a uno show. In effetti, lo stato raccoglie risparmi dai cittadini con l’emissione dei Buoni fruttiferi postali tramite Cassa depositi e prestiti. Quasi 200 miliardi di euro remunerati poco e niente, meno dei titoli di stato, salvo le lunghissime scadenze. E il presidente dell’Abi nota anche che gli interessi saranno bassi, ma lo stato si prende una percentuale del 26%. Insieme ai premi, nei primi otto mesi dell’anno il gettito da questa voce è quadruplicato da 1,082 a 4,289 miliardi (+296,4%).

Chiede a gran voce di eliminare l’imposta di bollo, che nei fatti è una “patrimoniale” sui risparmi. Guarda caso, nessuno in politica intende proporre una cosa del genere. I partiti puntano a dipingere le banche come vessatrici dei clienti, salvo stare zitti dinnanzi agli stessi comportamenti tenuti dagli istituti in mano allo stato e senza rinunciare a un solo spicciolo dei balzelli che gravano su conti correnti e deposito.

Istituti fondamentali per debito pubblico

C’è un’altra ipocrisia attorno al dibattito sulle banche. Governo e opposizioni fanno a gara a mostrarsi quanto più avvelenati con questo settore vitale per l’economia italiana. Nessuno ammette che senza di esse il debito pubblico diverrebbe praticamente insostenibile. Alla fine del luglio scorso, ben 359 miliardi di euro erano i titoli di stato posseduti dalle banche italiane, il 14,5% del totale in circolazione in quel mese. E le detenzioni aumenteranno nei prossimi mesi, quando i tassi scenderanno e le famiglie smetteranno di condurre acquisti netti di BTp, in quanto i rendimenti offerti non saranno per loro più appetibili.

Le banche italiane investono più massicciamente sui titoli del debito pubblico domestico rispetto alle loro concorrenti europee. E questo piace al governo di turno, perché gli consente di contenere i costi di emissione sui nuovi bond. Peccato che poi tutti si lamentino del fatto che gli istituti eroghino poco credito a famiglie e imprese. Certo che è così. Nell’agosto scorso, gli impieghi verso il settore privato ammontavano a 1.402 miliardi, 20 in meno di cinque anni prima, a fronte di 225 miliardi in più di depositi dei clienti. Come si spiega questa apparente anomalia? Le banche non vogliono esporsi all’economia reale, perché la temono. Di contro, trovano allettante investire nel debito pubblico italiano, che comporta zero rischi di insolvenza e rendimenti netti buoni.

Il fenomeno innesca, tuttavia, il rischio di doom loop, che si ha quando eventuali tensioni sul mercato sovrano si ripercuotono indirettamente sui bilanci bancari per effetto del deprezzamento dei bond a bilancio. Ma i governi che si sono succeduti in questi anni non vogliono rinunciare a questo “dividendo” offerto loro dalle banche in forma di minori interessi da pagare, grazie all’abbondante domanda garantita ai titoli di stato. Anche se ciò provoca il cosiddetto “effetto spiazzamento” a detrimento dei prestiti ad imprese e famiglie.

Banche arrivano da anni di tassi negativi

E’ vero i profitti delle banche sono esplosi con l’aumento dei tassi. Attesi a 50 miliardi per quest’anno dai 40,6 del 2023 e dai 25,5 del 2022. Ma è così che funziona il mondo. Se milioni di turisti in più all’anno si riversano in Italia, i ristoratori hanno più tavoli occupati e fatturano di più. Neanch’essi hanno avuto un qualche merito specifico, ma ciò non giustificherebbe una stangata a carico dei loro profitti. E c’è anche da dire che il boom degli utili arriva dopo un abbondante decennio passato a gestire il fenomeno assurdo dei tassi negativi, che avevano compresso i margini degli istituti per consentire ai governi nell’Eurozona di perpetuare gli spandi e spendi senza conseguenze per i loro bilanci. In questa vicenda nessuno può alzare il dito contro nessun altro. Le banche fanno comodo per tenere in vista il sistema.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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