Le banche non credono nell’economia italiana, la prova dai dati di 15 anni

Le banche non sostengono più da tempo l'economia italiana, come segnalano i dati sui prestiti a famiglie e imprese.
1 anno fa
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Liquidità non più a costo zero, risparmiatori favoriti
Liquidità non più a costo zero, risparmiatori favoriti © Licenza Creative Commons

Di banche si parla da settimane dopo che il governo Meloni ha deciso di stangare i famosi “extra-profitti” con una tassa una tantum apposita. Gli istituti di credito sono accusati di avere scaricato immediatamente l’aumento dei tassi di interesse su prestiti e mutui. Non hanno fatto altrettanto con i depositi della clientela, che restano scarsamente remunerati. Fosse questo il grande problema dell’economia italiana, saremmo a cavallo. La verità dei fatti è che il sistema bancario da molti anni ha abbandonato il mercato domestico.

Quando esplose la crisi di Lehman Brothers nel settembre del 2008, ci dicemmo che eravamo relativamente più fortunati degli altri paesi. Le banche italiane, anziché fare speculazione sui mercati internazionali, erano concentrati nel vecchio business dei prestiti a famiglie e imprese. Grosso modo, era vero.

Boom depositi, prestiti giù dal 2008

Peccato solo che non sarebbe stato più così per il futuro prossimo. I dati pubblicati dall’Associazione bancaria italiana segnalano che qualcosa si è rotto una dozzina di anni fa. Prendiamo come riferimento proprio il drammatico settembre 2008, quando divampò la crisi finanziaria mondiale. Allora, le banche sostenevano l’economia italiana con 1.500 miliardi di euro di prestiti al settore privato. Nello stesso mese, la raccolta bancaria (escluse le obbligazioni) si attestava a 721,7 miliardi. Questo significa anche che i prestiti alla famosa economia reale più che doppiavano (108%) i depositi delle famiglie.

Quindici anni fa, per ogni euro portato in banca dai risparmiatori, più di 2 venivano prestati alle famiglie e alle imprese. E l’economia italiana tiracchiava. Sappiamo che la crescita del PIL era bassa, ma perlomeno non andavamo indietro. Nel giugno di quest’anno – ultimo dato ad oggi disponibile – i prestiti al settore privato ammontavano a 1.447 miliardi contro risparmi depositati dalle famiglie per 1.765,4 miliardi. Le banche hanno prestato la media di 82 centesimi per ogni euro avuto a disposizione dai clienti.

Andando indietro di cinque anni, nel giugno 2018 eravamo ancora a quasi 1.482 miliardi di prestiti ai privati contro circa 1.486 miliardi di raccolta ex obbligazioni. C’era ancora un rapporto sostanzialmente di 1:1 tra prestiti e risparmi bancari. La discesa sotto l’unità si sta rivelando drammatica. Le banche non mettono a disposizione del settore privato neppure il 100% della liquidità che posseggono. Evidentemente, non si fidano della capacità dei potenziali clienti di restituire il credito ricevuto.

Contraccolpi da politica di Draghi

Tra le altre cose, le obbligazioni bancarie a fine 2008 valevano 660 miliardi contro i 230 del giugno scorso. Un crollo dei due terzi, che si è tradotto in un aumento dei conti correnti e deposito. In pratica, le banche non si fidano dei clienti e i clienti non si fidano delle banche. Fatto sta che in quindici anni i prestiti all’economia reale sono diminuiti di quasi 55 miliardi di euro (-3,6%), mentre i depositi della clientela sono esplosi di circa 1.050 miliardi. Ciò spiega in buona parte perché le banche snobbino i risparmiatori, remunerandoli poco o nulla. Della loro liquidità non sembrano avere bisogno. Al contrario, segnalano strutturalmente di voler ridurre le esposizioni verso imprese e famiglie.

Nel frattempo, sono aumentati i titoli di stato in portafoglio, che solamente nell’ultimo decennio risultano più che raddoppiati nei bilanci delle banche. Anche questo dato la dice lunga circa la volontà di prestare denaro ai soli soggetti percepiti come relativamente “sicuri”, anziché rischiare facendo il lavoro di sempre. In tutto ciò è stata determinante la politica monetaria “draghiana” della Banca Centrale Europea. Essa è consistita nell’azzerare i tassi di interesse e nell’acquistare bond. Di conseguenza, prestare denaro a bassissimo costo non è valso più il rischio, mentre le banche (italiane e non) hanno trovato profittevole puntare sugli asset finanziari, i cui prezzi salivano quasi automaticamente per via del Quantitative Easing.

Banche meno avide con rialzo dei tassi?

In buona sostanza, come italiani ci siamo compiaciuti delle scelte di politica monetaria dell’ex governatore Mario Draghi. Gli riconosciamo tutti di avere “salvato” i conti dello stato da un destino altrimenti forse fatale. Il non detto è che quelle scelte hanno “congelato” il mercato del credito, colpendo il settore privato, cioè l’economia italiana. Non a caso, il PIL resta sotto i livelli del 2007. La messa in sicurezza del debito pubblico è avvenuta a discapito di famiglie e imprese. Chissà che un ritorno alla normalità monetaria non spinga paradossalmente la crescita dell’economia italiana, anche se lo spettro di una crisi fiscale ne limiterebbe la portata.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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