Lamentarsi delle banche e continuarci a investire
I depositi veri e propri della clientela, al netto degli investimenti come le obbligazioni e i pct, sono saliti, poi, di ben 92 miliardi di euro (+7%) dal novembre 2015, mese in cui esplose la crisi in borsa delle banche italiane, accendendo i riflettori sulla fragilità del nostro sistema del credito, a seguito del salvataggio in extremis di quattro istituti per mano pubblica (Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti). (Leggi anche: Crisi banche, tutti gli errori del tragico Padoan ai danni dei contribuenti)
Come fanno gli italiani a lamentarsi di quanto truffaldine sarebbero le banche, salvo aumentarvi i risparmi in esse investiti? Vero, la stragrande maggioranza della raccolta bancaria è data da conti correnti e deposito di importo cadauno inferiore ai 100.000 euro, ovvero garantiti totalmente per legge.
Nemmeno rifugiandosi nell’oro si è scevri dalle perdite, almeno non nel breve e medio termine, se è vero che le quotazioni del metallo sono crollate di oltre un terzo dall’apice toccato nel settembre 2011, solo parzialmente compensate dal +15% messo a segno dal dollaro contro l’euro nello stesso periodo di tempo.
Mancanza di alternative o fatalismo?
Ma siamo sicuri che si tratti solo di questo? In condizioni di mercato “normali”, i risparmiatori italiani investirebbero altrimenti i loro denari? Il trend dei depositi bancari ci suggerisce che la fiducia nel sistema del credito nazionale sarebbe rimasta intaccata negli anni, nonostante le tensioni.
La lettera del signore a Le Formiche è esaustiva di una certa incapacità di molti piccoli investitori di resistere alla tentazione di qualche facile guadagno, senza averne gli strumenti e il profilo di rischio adeguato per evitare di restare spennati e in mezzo a una strada. Le banche saranno anche poco trasparenti, alcuni loro dirigenti meriterebbero di far visita alle patrie galere, ma contro il cretinismo non esiste mai un rimedio efficace.
Forse è stato rapido il passaggio dall’era dei “BoT people” a quella della finanza speculativa. Molti di quanti per decenni hanno investito i loro risparmi in titoli di stato e libretti postali si sono convinti erroneamente che avrebbero potuto mantenere gli stessi livelli di sicurezza, puntando su assets diversi e spesso più remunerativi. Si sono improvvisati obbligazionisti subordinati e azionisti di banche opache, imitando i detentori dei grandi capitali, nella speranza che questi avrebbero indicato la giusta via finanziaria, ma non cogliendo una immensa differenza: un grosso fondo può anche permettersi di perdere tutto l’investimento effettuato su un titolo, non un piccolo investitore, specie se è stato così fesso da averci puntato tutto. (Leggi anche: Banche venete, salvataggio all’italiana incentiva azzardo morale)