Uno studio della Banca Nazionale Svizzera è stato pubblicato in questi giorni e puntava a trovare a quali livelli dei tassi negativi il pubblico inizierebbe ad accumulare denaro contante. Ebbene, la scoperta è stata che ben l’80-90% delle banconote da 1.000 franchi risultava detenuto nel 2017 in casseforti o sotto il materasso, a fronte del 30-60% per le banconote da 200 franchi. La risposta degli svizzeri ai tassi negativi imposti dall’istituto e, in qualche caso, persino trasferiti dalle banche ai correntisti, sarebbe stata chiara: più uso del contante.
La lotta al contante è legata ai tassi negativi della BCE?
In effetti, alla fine del 2019 il valore delle banconote in circolazione nello stato alpino ammontava a 79 miliardi di franchi, in netto rialzo dai 31,6 del 2000 e il doppio dei 39 miliardi del 2007, l’anno che ha preceduto lo scoppio della crisi finanziaria globale e l’inizio del varo di potenti stimoli monetari da parte delle principali banche centrali. In rapporto al pil, il loro valore è salito all’11,45% dal minimo del 6,8% del 2007, segno di quanto il contante sia aumentato di peso nell’uso quotidiano in uno dei paesi più ricchi e progrediti al mondo.
Qual è la correlazione tra tassi negativi e contante? Se la banca centrale impone tassi negativi, le banche troveranno costoso parcheggiare liquidità presso di essa, per cui trasferiranno l’onere ai risparmiatori, a loro volta imponendo tassi negativi sui conti correnti e deposito. Tuttavia, questi hanno la possibilità di chiudere il conto e di portare le giacenze a casa, magari riponendole in una cassetta di sicurezza, pur esponendosi a un rischio di furto o distruzione, che in banca sarebbe in sé nullo. In previsione di ciò, le banche si vedranno costrette a subire il costo senza poterlo trasferire ai clienti, con ciò rendendo parzialmente inefficace il meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Ma questa operazione diventa più difficile con le banconote di piccolo taglio.
Banconote 500 euro, l’addio “interessato” della BCE
In altre parole, minore il taglio, più improbabile l’alternativa del ricorso al contante contro il conto in banca, perché servirebbe uno spazio sempre più grande per contenere le banconote in un posto verosimilmente sicuro. Dunque, l’esistenza di banconote di grosso taglio rende possibile lo smobilizzo delle giacenze in banca, di fatto annullando o almeno contenendo gli effetti dei tassi negativi, che molte banche centrali adottano da tempo per centrare i loro obiettivi di politica monetaria, vale a dire per stimolare consumi e investimenti. Sarà un caso, ma frustrata dall’assenza di risultati concreti rilevanti, nel 2016 la BCE di Mario Draghi annunciò che da quest’anno avrebbe smesso di stampare banconote da 500 euro, formalmente per contrastare l’economia sommersa e illegale.
Dalle cassette di sicurezza uscirebbero banconote da 500 euro col condono di Salvini
Le banconote da 500 euro rappresenta(va)no oltre un quinto di tutto il valore delle banconote circolanti nell’Eurozona, anche se molti di noi le avremmo viste, se va bene, non più di qualche volta dal 2002, anno di introduzione fisica dell’euro. Considerando che pure i pezzi da 200 euro siano nei fatti inesistenti in giro, non restano che i 100 euro come taglio più alto. In circolazione, ve ne sono 2,84 miliardi, pari al 23% del valore complessivo totale.
Troppo bassi per rendere concreta un’alternativa credibile ai conti bancari. Per una giacenza da 50.000 euro, ad esempio, servirebbero già 500 pezzi da 100. Per questo, diventa più faticoso per i risparmiatori nell’Eurozona sfuggire agli effetti nefasti dei tassi negativi, anche nel caso in cui iniziassero ad essere trasferiti sui conti, infliggendo costi netti.