Nonostante il bilancio della BCE si sia espanso negli ultimi due anni di oltre 2.000 miliardi di euro e quello della Federal Reserve di circa 3.500 miliardi di dollari dal 2008, sia l’Eurozona che gli USA sembrano incapaci di uscire dalla bassa inflazione, un fenomeno comune al Giappone in deflazione da un ventennio, ma anche alle altre principali economie avanzate. Salvo rare eccezioni, infatti, nessuna banca centrale del mondo sviluppato è in grado ormai da anni di centrare il proprio target d’inflazione.
Il governatore Mario Draghi continua a ripetere come un mantra, che la BCE farà di tutto per contrastare la bassa inflazione, la quale rischia di disancorare le aspettative future sui prezzi e tradursi in un fenomeno strutturale. Peccato per lui, forse, che si tratti di un trend sfuggente al controllo delle banche centrali, inquadrandosi in una tendenza ormai pluridecennale. (Leggi anche: BCE preoccupata per bassa inflazione)
Innovazione tecnologica e deflazione
Già, perché non sono in pochi a ritenere che la bassa inflazione di questi anni presso le principali economie del pianeta non abbia molto a che vedere con la crisi recente, ma sia riconducibile al boom della tecnologia, attecchito sin dagli anni Ottanta. A tale proposito, si parla anche di deflazione tecnologica.
Che cosa significa? La tecnologia avrebbe da tempo ridotto la crescita tendenziale dei prezzi e in vari modi. In primis, comprimendo gli aumenti salariali, visto che le macchine sono ormai sostituti della forza-lavoro in gran parte dei casi. E il costo del lavoro rappresenta ancora in molte aziende il 70% delle spese operative. In sostanza, sarebbe venuta meno quella spirale inflazione-salari-inflazione, che tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta aveva fatto crescere i prezzi a due cifre in gran parte dell’Occidente.