Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, starebbe facendo pressione sulla premier italiana Giorgia Meloni, affinché rediga un documento al vertice pugliese di giugno, in qualità di leader di turno del G7, per l’utilizzo dei beni russi congelati in favore dell’Ucraina. Nel frattempo, la posizione della Banca Centrale Europea (BCE) non cambia: senza un avallo giuridico internazionale, c’è il rischio di minare alle basi della reputazione legale dell’Unione Europea. E il governatore Christine Lagarde, che è stata una giurista d’impresa, è consapevole delle insidie che il continente correrebbe nell’accettare la posizione dell’alleato di Washington.
Beni russi congelati con invasione Ucraina
La questione si trascina da ormai oltre due anni. Quando il Cremlino decise senza alcuna giustificazione di sorta di invadere l’Ucraina quel 24 febbraio del 2022, gli stati del G7 reagirono comminando numerose sanzioni contro Mosca. Tra le altre cose furono congelati beni russi per quasi 300 miliardi di dollari. Si trattava delle riserve valutarie della Banca di Russia investite all’estero. Di questi, circa i tre quarti risultavano denominati in euro e investiti proprio nella UE.
Ipotesi di utilizzo dei fondi
Ci sono varie ipotesi al riguardo. Quella più gettonata consiste nell’utilizzare i rendimenti maturati per sostenere l’Ucraina. In questo modo, la proprietà dei beni russi congelati non verrebbe formalmente intaccata. I leader del G7 si limiterebbero a sfruttarne il ricavato per aiutare Kiev e sanzionare Mosca. Tuttavia, lo scorso anno i rendimenti ammontarono ad appena 4,5 miliardi di dollari, a fronte delle centinaia di miliardi necessarie per la ricostruzione. Tra le altre soluzioni possibili vi sarebbe l’emissione di obbligazioni garantite da tali asset.
Il tema dell’esproprio vero e proprio, tuttavia, resta un tabù a Bruxelles. L’Occidente è da diversi decenni l’approdo naturale per i capitali di tutto il mondo, in virtù anche dello stato di diritto che garantisce gli investitori.
Test per euro da sanzioni
Se il resto del mondo avesse anche solo la percezione che le regole anche da noi venissero piegate alla ragion di stato, smetterebbe di portarci i suoi capitali. E questo aspetto riguarderebbe particolarmente l’Europa. Le altre economie puntano perlopiù ad impiegare i loro asset in dollari Usa. Nel caso della Russia è accaduto il contrario. Mosca ha diversificato negli anni le sue riserve a favore dell’euro, per due ragioni principali: c’è stato un crescendo di tensioni, soprattutto, con gli Stati Uniti; ha voluto agevolare la moneta unica per gli scambi commerciali e anche per sostenerla nel lungo periodo contro la divisa americana.
Mosca credeva che i governi europei sarebbero stati meno punitivi nel caso le tensioni sarebbero esplose, com’è accaduto con l’invasione dell’Ucraina. Se Bruxelles avallasse l’esproprio dei beni russi congelati, dimostrerebbe alla prima occasione utile che non sia all’altezza di garantire i capitali stranieri. E la prova sta riguardando in prima battuta proprio l’Unione Europea, dato che gli investimenti russi negli Stati Uniti risultano assai inferiori. Inoltre, il dollaro resta valuta di riserva mondiale e può per certi versi schivare ancora i dubbi crescenti di parte del pianeta circa l’affidabilità delle istituzioni americane. L’euro ambisce ad affiancarlo in tale ruolo, ma ad oggi non ci è riuscito e fallire il test russo può risultargli fatale.
Sui beni russi congelati messaggio da un oligarca
Proprio in queste ore si trova a Roma Mikhail Khodorkovsky, in audizione alla Commissione Esteri della Camera. E’ l’oligarca russo più ricco e perseguitato dal Cremlino in questi anni. Riferendosi all’eventualità che i beni russi congelati possano prima o poi essere espropriati, ha usato parole illuminanti: “Putin è un dittatore e, in quanto tale, temporaneo. Il diritto di proprietà è eterno”. Un messaggio che farà fischiare le orecchie ai leader europei. Putin prima o poi non sarà più presidente, ma gli oligarchi russi e nel resto del mondo si ricorderanno di chi abbia tradito gli investitori confondendo il piano politico con gli affari.