Domenica 22 ottobre, i residenti di Lombardia e Veneto saranno chiamati ai due rispettivi referendum per ottenere maggiore autonomia in ambito fiscale. Niente a che vedere con le rivendicazioni secessioniste della Lega Nord di un tempo, niente a che fare nemmeno con quanto sta accadendo in Catalogna. Qui, semmai si tratta di consentire a Milano e Venezia di trattenere una quantità maggiore di risorse nelle due regioni. Una richiesta che dire legittima è persino riduttivo, considerando che i cittadini lombardi e quelli veneti ogni anno versano nelle casse di Roma circa 75 miliardi di euro in più di quanto ricevano in servizi.
Il centro-destra è ufficialmente schierato a favore dei referendum, ma dietro alla facciata si nascondono divisioni e tensioni persino grandi. La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha invitato i suoi elettori nelle due regioni a non partecipare al voto, attirandosi le ire del governatore lombardo, che ha messo in discussione l’alleanza. Tuttavia, i dirigenti del suo partito hanno rassicurato che la loro posizione rimane favorevole, stemperando le tensioni. Paradossalmente, per quanto i referendum siano un cavallo di battaglia della Lega Nord, essi non trovano il plauso del segretario Matteo Salvini, preoccupato ormai da tempo a creare un partito nazionale, che superi le rivendicazioni nordiste. A dirla tutta, la consultazione sta assumendo quasi il volto della sfida da parte dei governatori di vecchia fedeltà bossiana contro un leader sempre più distante dai proclami storici del Carroccio.
E arriviamo a Silvio Berlusconi. Egli da un lato avrebbe tutta la convenienza a insinuarsi nelle divisioni interne alla Lega, schierandosi per il “sì”, cosa che ha formalmente fatto la sua Forza Italia, accusata, tuttavia, da Maroni e Zaia di essere un sostenitore troppo cauto e poco entusiasta della causa per strappare maggiori risorse a Roma. Per due ragioni essenziali, però, l’ex premier non sarebbe affatto contento dei referendum. Il primo è che nel caso di vittoria, l’esito sarebbe percepito come un successo di Salvini, indebolendo la propria leadership nel centro-destra. Il secondo riguarda le preoccupazioni che questo esito favorevole scatenerebbe tra gli elettori del sud, i quali vedrebbero nelle rivendicazioni del lombardo-veneto una sorta di spostamento dell’asse politico nel centro-destra verso nord, a discapito dei propri interessi.