Un crollo dei due terzi ai botteghini americani e di un terzo sul piano mondiale. E’ questo il bilancio della seconda settimana di proiezione di Biancaneve, la versione politicamente corretta di Walt Disney che sta ricevendo un’ondata di critiche dal pubblico. Stando ai dati al 30 marzo scorso, sono stati incassati 143,1 milioni nel mondo, di cui 67 milioni sul mercato nordamericano. Troppo pochi per una produzione costata non meno di 250 milioni e il cui dato complessivo per New York Times, comprese le spese di marketing, lieviterebbe a 330 milioni.
Cultura woke nel nome dell’inclusione
Se così, non basterebbero i 600 milioni ipotizzati per pareggiare i conti; ne servirebbero intorno a 800.
E se il buongiorno si vede dal mattino, non sarà per niente facile tendere a quella cifra. Biancaneve è stato un capolavoro di zizzania. Walt Disney da anni ha abbracciato la cultura woke nel tentativo di mostrarsi una media company inclusiva. Note le diatribe con il governatore repubblicano della Florida, Ron DeSantis. Nello specifico, l’attrice Rachel Zegler, che ha origini sudamericane, non è così chiara di carnagione come da favola tradizionale. Al contrario, ha un colorito mulatto che di per sé stona con la visione che tutti abbiamo della protagonista. La donna ha reagito alle critiche sui social, scrivendo di non avere “intenzione di lavare la sua pelle con la candeggina”.
Ci sono stati altri epiteti ad avere attirato le critiche. I sette nani scompaiono dal titolo, perché si tratterebbe di “body shaming”. E il principe azzurro che bacia Biancaneve non è più il momento centrale della storia; anzi, quasi si sorvola per non urtare la sensibilità di quanti intravedono nel gesto un atto di violenza contro l’inerme giovane avvelenata dalla strega cattiva.
I produttori dovranno sperare adesso di replicare il successo de La Sirenetta, che debuttò non benissimo al suo primo fine settimana di proiezione nelle sale, ma pur sempre con 95 milioni di ricavi, pur crollati a 40 milioni nel secondo fine settimana. Il risultato finale fu di 570 milioni di incassi. Anche in quel caso il costo si attestò sui 240 milioni.
Walt Disney pesante in borsa
Walt Disney in borsa perde quest’anno il 16%, ben più del 5% dell’indice S&P 500. A titolo di confronto, Netflix se la sta cavando con un -2%. Il mercato teme che intestardirsi sulle politiche D&I (Diversity and Inclusion) alieni definitivamente le simpatie di parte del pubblico, oltre che dell’amministrazione Trump. Il presidente americano ha scritto ai CEO delle società quotate per chiedere loro di non seguire più tali pratiche, che negli anni avevano portato ad un clima esasperante già in fase di selezione dei lavoratori. Le assunzioni sono avvenute in molti casi seguendo criteri etnici per inseguire questa o quella minoranza e accontentare il gentil sesso.
Se i numeri daranno conferma del flop, Biancaneve sarà solo l’ennesimo caso di quel “go woke, go broke” di cui si parla da tempo a Wall Street. Il caso più eclatante fu due anni fa Budweiser, nota marca di birra della società Anheuser-Busch. Fu oggetto di boicottaggio dopo essersi affidata alla sponsorizzazione di un noto transessuale americano. Il crollo in borsa del titolo spinse la società a correre ai ripari. Non solo la pubblicità venne ritirata, ma al suo posto ne comparve una prettamente patriottica. Un caso simile ha riguardato la catena dei supermercati Target, presa di mira da una fascia della clientela per avere proposto prodotti Lgbt nei suoi scaffali. L’iniziativa è stata anche in questo caso rivista, optando per un posizionamento dei prodotti in un’area defilata dei negozi.
Ha senso Biancaneve divisiva?
Ha senso buttarla in politica quando si gestisce una società quotata in borsa? Sembrerebbe di no, anche se qualcuno come Walt Disney probabilmente vorrebbe ritagliarsi una nicchia del mercato facendo leva proprio sul woke. Ma il caso Biancaneve non sembra deporre in favore di una simile inclinazione. E non si tratta solamente di mettere il dito nelle divisioni laceranti della società americana. Perché alla fine un prodotto vende se attira. Ed evidentemente, la storia riadattata secondo i canoni moderni non convince. Il pubblico in sala chiede evasione, mentre gli si offre la solita solfa ideologica che finisce per far salire il sangue al cervello tra tifoserie contrapposte. Per quello basterebbero i giornali e i talk skow politici.
giuseppe.timpone@investireoggi.it