E’ stata una settimana movimentata tra le banche centrali più importanti del pianeta. Anzi, tutto è avvenuto nel giro di poche ore. Giovedì scorso, 16 dicembre, si sono riuniti i board di Banca d’Inghilterra, Banca Nazionale Svizzera, Norges Bank, BCE e Banca Centrale Turca. Il giorno successivo, la Banca del Giappone. Al termine dell’ultima riunione dell’anno per i rispettivi istituti, le decisioni esitate sono state le seguenti: due rialzi dei tassi, un taglio e l’avvio di due “tapering”, che a tutti gli effetti preparano le condizioni per un futuro aumento del costo del denaro.
Chi ha inasprito le condizioni monetarie? A sorpresa, la Banca d’Inghilterra, mentre era nell’aria che lo facesse la Norvegia per la seconda volta in tre mesi. Londra ha portato il suo tasso di riferimento da 0,10% a 0,25%, Oslo da 0,25% a 0,50%. Nel primo caso, si è trattato di una stretta dall’entità risibile, eppure il segnale per i mercati è stato forte. Il Regno Unito combatte contro una potente nuova ondata di contagi da Covid e ciononostante la “Old Lady” ha deciso di alzare i tassi. In parole povere, il governatore Andrew Bailey ha evidenziato come la variante Omicron sia una minaccia inferiore a quella prospettata dall’inflazione. E la sterlina vola a +5,5% in un anno contro l’euro.
Dal super franco alla lira turca in ginocchio
Più scontato dicevamo il rialzo dei tassi norvegesi, dove l’inflazione corre e così anche l’economia, quest’ultima spinta dal boom del petrolio. Gli stimoli in questo angolo di Scandinavia non hanno più grande senso. Invece, ha deciso di tagliare i tassi per la quarta volta consecutiva la Turchia, in preda oramai alla crisi del cambio più grave dal 1995. La lira turca perde quest’anno più del 53% e venerdì sfondava la barriera di 16 contro il dollaro. In assenza di indipendenza, il governatore Sahap Kavcioglu si è piegato ai desiderata del presidente Erdogan e continua ad abbassare il costo del denaro, incurante di un’inflazione al 21,31% a novembre.
Nessuna novità, invece, dalla Svizzera. La BNS non ha alcuna impellenza per alzare i tassi, data l’inflazione ancora contenuta all’1,5% e con un cambio ai massimi da sei anni e mezzo contro l’euro. Il “super” franco svizzero nei fatti mette almeno parzialmente al riparo l’economia alpina dall’inflazione e non è un caso che il governatore Thomas Jordan lo abbia fatto apprezzare sotto il cambio minimo informale di 1,05.
Tassi negativi confermati anche dalla Banca del Giappone, che ha, però, annunciato l’avvio del “tapering” dal prossimo aprile. Gli acquisti di bond sovrani, societari e commercial paper saranno ridotti gradualmente fino a tornare ai livelli pre-pandemici.
Tassi BCE fermi, per ora
Infine, la BCE. Nessun rialzo dei tassi, come da previsione, ma conferma della fine del PEPP e potenziamento debole del QE. Il governatore Christine Lagarde non prospetta alcuna stretta nel 2022, ma le sue stesse previsioni sull’inflazione (da 1,7% a 3,2% per l’anno prossimo) lasciano intravedere la possibilità che le cose cambino nei prossimi mesi. Verosimilmente, tra la fine del 2022 e i primi mesi del 2023 ad essere aumentato sarà il tasso overnight sui depositi delle banche, ad oggi fermo al -0,5%. Anche l’Eurozona lotta contro la quarta ondata, ma evidentemente anche a Francoforte ritengono che la variante Omicron sia un’insidia meno pericolosa dell’alta inflazione per l’economia.