Avete ancora dubbi sull’utilizzo dei Bitcoin come di una sorta di bene rifugio? L’ultima prova ce la fornisce lo Zimbabwe, stato dell’Africa sud-occidentale, da stamattina teatro di un colpo di stato, che metterebbe fine all’era del presidente Robert Mugabe, il dittatore più longevo al mondo, in carica sin dal 1980 e oggi 93-enne. Mentre non si hanno notizie certe sulla sorte del capo dello stato deposto e, in particolare, della moglie Grace, che secondo la Bbc sarebbe fuggita in Namibia, la piattaforma Golix segnala un boom delle quotazioni per i Bitcoin, scambiati a prezzi circa doppi di quelli vigenti sul piano internazionale a poco più di 7.100 dollari, essendo arrivate fino all’apice di 13.900 dollari.
Non parliamo di cifre significative in valore assoluto, ma in sé certificano il senso che la moneta digitale starebbe assumendo presso le economie emergenti in crisi. E ad Harare, i Bitcoin rappresentano qualcosa in più di una semplice moneta alternativa a quella ufficiale, semplicemente perché qui una moneta ufficiale non esiste sin dal 2009, anno dell’iperinflazione e della decisione della Reserve Bank of Zimbabwe di non emetter più banconote, lasciando che gli scambi interni e con l’estero avvengano tramite valute straniere, dollaro USA per primo.
La paura dell’iperinflazione
Chiaramente, prima di stamattina, gli abitanti locali non potevano sapere che ci sarebbe stato un golpe, per cui la vera origine del boom dei prezzi non sarebbe affatto la fine dell’era Mugabe, anzi questa potrebbe dare il via a un ripiegamento delle quotazioni nelle prossime settimane, se dal golpe scaturisse un governo realmente democratico, capace di meglio gestire l’economia e non si registrasse un semplice passaggio a una dittatura militare.
Ad avere spinto all’acquisto di Bitcoin nelle ultime settimane è stata la crisi di liquidità nel paese, con dollari sempre più scarsamente presenti e il valore dei “bond notes” – titoli emessi un anno fa dalla banca centrale alla pari con il dollaro per incrementare i mezzi di pagamento interni – quasi dimezzatosi negli ultimi mesi, segno del deterioramento della fiducia tra i consumatori verso il sistema monetario nazionale. E la carenza di beni, frutto delle scarse importazioni possibili con i pochi dollari a disposizione, sta scatenando paure tra le famiglie, che temono di fare la fine del Venezuela e di tornare a quasi un decennio fa, quando i prezzi divennero praticamente senza senso. (Leggi anche: Assalto a stazioni di servizio e supermercati, si teme una crisi in stile Venezuela)