Si tiene oggi la settima riunione dell’anno del board della BCE, destinata con ogni probabilità a lasciare il segno. Il governatore Mario Draghi dovrebbe annunciare, infatti, l’avvio del cosiddetto “tapering”, il ritiro graduale degli stimoli monetari, noti anche con l’espressione “quantitative easing”, il programma di acquisto di vari assets per 60 miliardi al mese e in scadenza a dicembre. Non sarà ancora addio, perché è atteso un prolungamento del QE di 6-9 mesi, seppure a ritmi più blandi, nell’ordine di 30-40 miliardi al mese.
La prima è tecnica: i titoli di stato rappresentano il grosso degli acquisti mensili, ma di Bund in circolazione ne esistono ormai pochi. La Germania registra un avanzo fiscale sin dal 2014, ovvero emette ogni anno meno debito di quanto ne arrivi a scadenza. Ciò riduce l’offerta complessiva e crea problemi a Francoforte, costretta già a imbarcarsi in rendimenti negativi e persino inferiori al limite fissato inizialmente al -0,4%, altrimenti non potrebbe ottemperare agli impegni assunti, facendo venire meno tutto il piano di acquisti. Per la “capital key”, i titoli di stato di un paese membro dell’Eurozona devono essere oggetto di acquisto con il QE, in proporzione al capitale detenuto dalla banca centrale di quel paese nella BCE, che a sua volta è correlato alle sue dimensioni economiche. (Leggi anche: Bassi tassi, Draghi si difende dagli attacchi tedeschi)
Bund e petrolio
Per intenderci: la Germania possiede un pil pari a circa il 30% di quello dell’intera Eurozona, per cui anche il capitale della Bundesbank nella BCE si attesta pressappoco su tale percentuale e lo stesso è il peso dei Bund rispetto al totale dei bond rastrellati sul mercato secondario dall’istituto.
Si noti anche che le quotazioni del petrolio appaiono stabilizzatesi da settimane nel range di 55-60 dollari al barile per il Brent, in previsione dell’estensione a tutto l’anno prossimo dell’accordo OPEC per tagliare la produzione, in scadenza nel marzo prossimo. Nel breve e medio termine, quindi, lo scenario di un ripiegamento dei prezzi del greggio sarebbe venuto meno e con esso i rischi di un impatto negativo sui prezzi. Insomma, lo spettro di tendenze deflazionistiche si farebbe sempre meno concreto. (Leggi anche: Prezzi petrolio, dove vanno questo trimestre?)
Super euro meno probabile
Infine, il cambio euro-dollaro. Il biglietto verde sembra avere toccato il fondo circa un mese e mezzo fa contro le altre divise, guadagnando da allora mediamente il 3,5%. Anche contro la moneta unica è riuscito a mettere a segno un apprezzamento nell’ordine dell’1,7-1,8%, grazie sia alle migliorate prospettive di riforma fiscale negli USA con l’atteso taglio delle tasse dell’amministrazione Trump, sia anche a un consolidamento dell’economia americana. Un cambio euro-dollaro stabile e non crescente riduce anch’esso i rischi di un’inflazione troppo bassa per la BCE, anche se l’istituto sarà abbastanza attento a mostrarsi “colomba”, per impedire che l’avvio del “tapering” apprezzi la moneta unica sopra il rapporto di 1,20 contro il dollaro.
Attendere troppo, prima di tagliare gli stimoli, sarebbe un azzardo, perché se l’inflazione risalisse più velocemente delle attese per via dell’accelerazione della ripresa economica nell’Eurozona, di uno shock positivo sul fronte delle materie prime e di un rafforzamento del dollaro, la BCE dovrebbe affrettarsi per uscire dall’accomodamento monetario, potenzialmente destabilizzando i mercati e l’economia stessa nell’area. Per questo, oggi sarà “tapering”, anche se con moderazione.