E’ il giorno di Mario Draghi, che tiene oggi il suo terzultimo board prima di completare il mandato alla fine di ottobre. La BCE sarà chiamata a decidere se e in quale modo comunicare l’ulteriore allentamento monetario per l’Eurozona, praticamente scontato con certezza dai mercati. Il decennale della Grecia è sceso sotto il 2%, offrendo un rendimento inferiore al Treasury di pari durata. E’ il segno che gli investitori si aspettano che l’istituto tagli i tassi sui depositi “overnight” di almeno 10 punti base al -0,50% e che ripristini nei prossimi mesi gli acquisti di assets con un secondo ciclo di “quantitative easing”.
La BCE di Draghi ha un problema di credibilità, regole troppo politicizzate
La BCE punta a sostenere le aspettative d’inflazione, che stando ai contratti “forward” 5y5y monitorati, risultano scese ben al di sotto del target “vicino, ma di poco inferiore al 2%”, attestandosi sotto l’1,3% in questi giorni, ma a giugno erano crollate al minimo storico dell’1,14%. Si tratta della crescita attesa dei prezzi a 5 anni tra 5 anni, vale a dire per il periodo 2024-2029.
Ieri, i dati del Pmi manifatturiero in Germania a luglio hanno dato una mano a Francoforte, paventando la recessione nella prima economia dell’area. L’indice è sceso a 43,1 punti, ai minimi da 7 anni. Si consideri che i 50 punti rappresentano la soglia di demarcazione tra espansione e contrazione dell’attività del comparto. Con questi numeri, più facile oggi per Draghi convincere pure la riluttante Bundesbank a varare nuovi stimoli. Si prospetta anche una nuova modifica alla “forward guidance”, con l’aggiunta che i tassi verranno mantenuti ai livelli attuali “o più bassi” fino alla metà del 2020.
Problemi tecnici dalle misure ipotizzate
Le misure da adottare, tuttavia, si mostrano meno scontate di quanto non appaiano. Il taglio dei tassi overnight ridurrebbe ulteriormente i margini delle banche, specie quelle di Germania, Francia e Centro-Nord Europa, cariche di liquidità in eccesso.
E anche il QE2 presenta diversi problemi operativi. Stando ai criteri adottati con il primo ciclo avviato nel 2015, la BCE può acquistare titoli del debito sovrano di uno stato fino a un massimo del 33% (del 25% nella prima versione). Per i Bund, tale soglia verrebbe raggiunta presto, in quanto la Germania non solo non ne emette più, al netto delle scadenze da rifinanziare, anzi li sta riducendo anche in valore assoluto per via degli avanzi di bilancio registrati sin dal 2014.
L’estrema carenza dei bond tedeschi presuppone che almeno uno dei due principi dovrà essere modificato: il tetto del 33% o la “capital key”. Quest’ultima lega gli acquisti dei bond sovrani di uno stato alle sue dimensioni economiche. Per ragioni di flessibilità, la BCE potrebbe ipotizzare di acquistare bond indifferentemente da questa regola, così che gli scarsi Bund sul secondario non la privino della possibilità di acquistare anche BTp, Bonos, Oat, etc. Difficile farla digerire ai tedeschi, che vi vedrebbero un sostegno implicito ai governi del Sud Europa e una sorta di istigazione al loro “azzardo morale”. Più facile che vengano studiati stratagemmi legali per impedire che detenzioni superiori al 33% consentano alla BCE di bloccare eventuali ristrutturazioni dei debiti.
Il secondo ciclo di “quantitative easing” perpetuerà gli errori della BCE