I rendimenti negativi di buona parte del mercato dei bond governativi dell’Eurozona sono la conseguenza del “quantitative easing” della BCE, ovvero degli acquisti di titoli di stato, effettuati dall’istituto sin dal marzo del 2015 e di recente potenziati. Ma lungi dall’essere contenti, alcuni grandi investitori istituzionali inizierebbero a mostrare cautela, come nel caso del più grande fondo pensione danese, PFA, che gestisce assets per 83 miliardi di dollari.
Il suo responsabile finanziario, Anders Damgaard, ha ammesso di avere tagliato le esposizioni verso il mercato del debito sovrano dell’Eurozona, preferendo acquistare Treasuries e obbligazioni immobiliari convertibili danesi.
Bolla finanziaria, fuga verso Danimarca
E c’è un altro elemento portato a conoscenza da Damgaard, ossia che dalla fine del cambio minimo tra franco svizzero ed euro, il fondo PFA ha accresciuto le esposizioni in assets danesi, in modo da tutelarsi contro l’eventuale fine del “peg” anche a Copenaghen. Pur non conoscendo le cifre di inizio 2015, sappiamo che oggi i due terzi degli assets gestiti è in corone danesi.
Il rischio maggiore più immediato si chiama chiaramente Brexit. Se oggi il Regno Unito vota a maggioranza per restare nella UE, le tensioni rientreranno, altrimenti, prevede Damgaard, seguirà un biennio di alti e bassi, periodo nel quale verrebbe gestita la transizione verso l’uscita di Londra dalle istituzioni comunitarie.