La marijuana sta facendo felici molti investitori negli ultimi mesi, grazie agli enormi guadagni messi a segno in borsa dalle società attive nella produzione e/o commercializzazione di prodotti con cannabis. Prendete la canadese Tilray, che si è quotata al Nasdaq con una IPO del 19 luglio scorso: da allora, il suo titolo è passato da 22,39 a 214,06 dollari, ma ieri era esploso fino ai 300 dollari. Il balzo in appena 60 giorni è stato del 900% e a trainarlo è stata la legalizzazione in Canada del consumo di cannabis per scopi ricreativi, con efficacia dal 19 ottobre prossimo.
Coca Cola alla canapa, la nuova bevanda del futuro per rivoluzionare il mercato dei drink?
Vero, il mercato starebbe scommettendo sul futuro della cannabis, ovvero sulla crescente liberalizzazione al suo uso per scopi clinici o personali. Ma ugualmente il boom delle cosiddette “pot stocks” continua a non convincere, se è vero che le relative società capitalizzano in borsa complessivamente sopra i 35 miliardi, quando i consumi mondiali stimati per il 2022 sarebbero nell’ordine dei 32 miliardi, stando a Market Research/BDS Analytics. E l’euforia ha già inflitto enormi perdite agli speculatori ribassisti su Tilray, che nella sola seduta di ieri risultano avere “bruciato” 310 milioni, essendo le quotazioni salite di ben il 38%. I contratti di opzione negoziati e relativi a Tilray e Cronos questa settimana sono stati ben 680.000, il 2,7% del totale negli USA.
Il rischio bolla per le “pot stocks”
Nei giorni scorsi, Bloomberg ha riportato la notizia che anche Coca Cola starebbe trattando con Aurora Cannabis il lancio di una bevanda a base di cannabinoidi. La società ha smentito il suo interesse per la marijuana, limitandosi a confermare quello per il CBD, un ingrediente non psicoattivo. Il mese scorso, Constellation Brands aveva annunciato un investimento da 4 miliardi in Canopy Growth Corp, il cui nome è indicativo del campo di attività. E Molson Moors ha stretto un’alleanza con Hydropothecary per il lancio di una bevanda con infusi di cannabis in Canada. Eppure, non solo le elevate valutazioni del mercato, ma anche fattori di natura giuridica rischiano di fare scoppiare la bolla in faccia agli ultimi investitori arrivati. L’agenzia governative Health Canada ha già proposto l’introduzione di una accisa del 2,3% sui prodotti con contenuto di cannabis, così da prelevare ricchezza dalle poche realtà che starebbero approfittando della liberalizzazione del consumo di marijuana nel paese.
Fumare erba in una città della marijuana?
E dagli USA, non è ancora ben chiaro il motivo per cui U.S. Bank abbia rescisso la collaborazione con il fondo ETF Manager Group, non fungendo più da custode per i suoi titoli. Pare che la ragione sia legata al fatto che il fondo abbia consentito l’ingresso nel suo capitale di società legate alla cannabis, come Tilray, terzo suo azionista. E la giustizia americana ha messo in guardia finanzieri e politici sul fatto che le attività legate alla coltivazione e alla commercializzazione della marijuana restano vietate negli USA, per cui nessuno effettivamente se la sente ancora nella prima economia mondiale di buttarsi a capofitto in un business dalla liceità dubbia. Per non parlare dei problemi di reputazione che si accuserebbero tra i clienti.