Doveva accadere ed è accaduto. La bolla finanziaria sui mercati è scoppiata in faccia a chi la aveva alimentata per anni. Se persino il boss di BlackRock, Larry Fink, sostiene che il crac di SVB sia la conseguenza della fine dell’era del “denaro facile”, non resta che crederci. In pochi giorni si sono avverati gli incubi che le banche centrali speravano non si sarebbero trasformati in realtà. Prima il fallimento di Silicon Valley Bank, poi di Signature Bank. E subito dopo il collasso in borsa di Credit Suisse, costretta ad essere salvata dalla Banca Nazionale Svizzera.
Da tassi negativi a normalità monetaria
E la Banca Centrale Europea pensava che avrebbe potuto transitare l’Eurozona dalla lunga era dei tassi negativi alla normalizzazione monetaria in pochi mesi senza effetti collaterali. Magari ci avrà creduto il suo governatore Christine Lagarde, le cui conoscenze e abilità in materia sono note. Cosa accade sempre quando le banche centrali alzano i tassi d’interesse tardivamente e a tappe forzate? Finisce che la bolla sui mercati scoppi e/o che l’economia cada in recessione.
Ciò vale a maggior ragione dopo anni in cui il denaro si trovava a tassi nulli o negativi e illimitatamente. E’ come passare da 40 gradi all’ombra a -10 gradi in un istante. L’organismo reagisce collassando. Tutto ad un tratto, la finanza si è ritrovata con bilanci stracolmi di asset finanziari dal valore di mercato molto inferiore ai prezzi di carico.
Bolla mercati travolge credibilità banche centrali
SVB prima di fallire aveva dovuto vendere a Goldman Sachs un portafoglio obbligazionario del valore di 23,97 miliardi per 21,45 miliardi, registrando un “buco” di 1,8 miliardi. Ciò fu dovuto al fatto che negli anni passati aveva investito in bond con duration media di 3,6 anni e rendimento all’1,79%. Nei giorni della vendita, però, un T-bond a 3 anni offriva un rendimento prossimo al 4,75%. E’ evidente che i bilanci degli istituti traballano per effetto del “repricing” dei bond con il rialzo dei tassi.
L’imprevedibilità delle banche centrali è stata una forte concausa della cattiva allocazione dei capitali. Certo, nessuno avrebbe potuto immaginare che l’inflazione negli Stati Uniti e in Europa sarebbe esplosa rapidamente ai massimi dagli anni Ottanta. Tuttavia, prospettare un cambio di policy così repentino senza immaginarne le conseguenze è stato fatale per le stesse banche centrali, costrette adesso al passo indietro nella lotta all’inflazione. Ne esce a pezzi la loro già fragile credibilità, per non parlare dell’affidabilità di sistemi finanziari sempre più erratici e dipendenti dai salvataggi pubblici.